Eva tentata

Eva tentata

1837 | 1878

Scheda

Nel 1837 Cincinnato Baruzzi partecipa all’esposizione di Brera con tre sculture: Salmace, la Timpanista ed Eva. Quest’ultima in particolare destò l’interesse del pubblico, tanto da oscurare parzialmente il successo della Fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini, anch’essa esposta in quell’anno. Dal giudizio entusiastico di Massimo d’Azeglio, che scriveva al fratello Roberto: «La statua che fa veramente furore è un’Eva tentata dal serpente di Baruzzi… Oh, questa se la vedessi ti piacerebbe! Ed è proprio lavoro d’ispirazione…» (d’Azeglio), si passava a quelli lusinghieri delle maggiori testate di critica artistica come “Glissons n’appuyons pas”, “Biblioteca Italiana”, il “Ricoglitore” e “L’Annotatore Piemontese”. A questo coro unanime si contrappose la voce di Defendente Sacchi, che paragonò la scultura ad una figura in convulsioni, determinando un crollo delle sue quotazioni, fino a quel momento tutte favorevoli. Baruzzi, che aveva già collezionato due commissioni, venne abbandonato dal favore del pubblico e solo l’atto controcorrente del marchese Bolognini Attendolo, che gli scrisse una lettera estremamente cortese, proponendo di acquistare la statua per 1000 scudi Romani, aggiungendone altri 100 per far superare allo scultore la delusione per le crude critiche verso il suo lavoro, riuscì a ripristinare la sua posizione (“Annotatore Piemontese”).

Nel 1863 l’Eva veniva donata dal marchese al Comune di Milano e perveniva alla Galleria d’Arte Moderna, dove è attualmente esposta. Il successo della statua spinse l’imprenditore tedesco Enrico Mylius a commissionarne subito una replica per la sua villa di Loveno. Come osserva acutamente Giovanni Meda nel recente contributo in cui propone di identificare una statua in marmo ragurante Eva conservata a Milano a palazzo Chierici con quella donata all’Accademia di Brera dagli eredi Mylius nel 1927, l’Eva tentata dal serpente era un soggetto particolarmente adatto al progetto iconograco di decorazione della villa, che proprio in quel periodo l’imprenditore si accingeva a realizzare. Il soggetto, tratto non dalla Bibbia, ma dal Paradiso perduto di John Milton, un libro che Baruzzi possedeva e che Mylius conservava in tre copie nella propria biblioteca, era molto adatto a esprimere lo smarrimento che lo aveva colto alla morte del giovane figlio ed erede. La morte prematura dell’unico figlio, appena sposato e dunque proiettato verso una promessa di continuità della stirpe, poneva di fronte a due alternative. Da una parte il desiderio di rifiutare Dio e i suoi precetti, come aveva scelto di fare Eva, dall’altra la fedeltà al suo volere, che nel caso di Mylius e di sua moglie ebbe la meglio. Dalla statua di Eva, collocata al centro di una sala della villa che da lei prese il nome, partiva un percorso iconograco-simbolico che conduceva il visitatore, guidato da pannelli esplicativi e successivamente da un volume a stampa con illustrazioni a puro contorno, alla scoperta del cammino di mistica accettazione della volontà divina da parte di una famiglia che aveva fatto del proprio inspiegabile dolore un punto di forza.

La prima versione dell’Eva era stata iniziata nel febbraio 1835. Il marmo, lavorato da Carlo Chelli a partire dal mese di agosto, sarà affidato all’ornatista Franzoni per i capelli e i fiori e la statua finita verrà esposta nel maggio a Brera. La versione commissionata da Enrico Mylius il 30 giugno 1837 viene iniziata immediatamente e nell’aprile del 1838 si trovava in stato avanzato di lavorazione, stando alle lettere di Baruzzi al numismatico milanese Gaetano Cattaneo, che seguiva per conto di Mylius la realizzazione della scultura e la sua collocazione nella villa. Il gesso originale per la scultura, proveniente dalla collezione dello scultore, si trova in una raccolta privata. Il soggetto di Eva verrà ulteriormente trattato da Baruzzi negli anni successivi, ma in forme diverse. Nel 1850 lo scultore inizia a lavorare ad un’Eva che stacca il pomo, il cui abbozzo, descritto nell’inventario notarile del 1878, verrà terminato dall’allievo Carlo Monari e collocato sulla tomba dei coniugi Baruzzi alla Certosa di Bologna. La statua, rubata nel 1992, è certamente una delle opere da cui Baruzzi si proponeva di ottenere il successo e la fama e incarna perfettamente il concetto di bellezza muliebre così in voga nell’Europa della seconda metà dell’Ottocento. La completa nudità sinuosa della figura, proiettata in avanti nell’atto di avanzare per cogliere il frutto, richiama tanta pittura francese di questo momento. Basta pensare alla Nascita di Venere di Cabanel (1863).

La Tentazione di Eva raffigura invece la prima donna accucciata sul terreno, in attitudine pensosa, mentre il serpente le si muove attorno con confidenza, arrivando a poggiarle l’estremità della coda sulla coscia sinistra. La nudità completa della donna è schermata dalla posa ripiegata su se stessa. La contrapposizione tra la parte posteriore, dalla schiena quasi gracile, dall’ampia supercie liscia, e quella frontale, ricca di dettagli, permette di comprendere l’entusiasmo del pubblico per una scultura quasi manieristicamente ricca di punti di vista. Un ulteriore richiamo al testo del poema inglese è ravvisabile nelle trecce arcaiche in cui sono raccolti i capelli di Eva, che le ricadono suggestivamente sulle spalle. Altrettanto affascinante doveva risultare per il pubblico il nodo di capelli sulla fronte, una citazione libera dall’antico, che finiva col conferire alla figura, stando almeno alle pagine della critica, un’aura vagamente selvaggia. Tra gli elementi più signicativi spicca il serpente dalla testa di giovinetto ricciuto con ali di pipistrello che ricompare anche nelle successive versioni di Eva che raccoglie il pomo e nel gesso con Eva tentata. Si tratta di un richiamo al testo di Milton dal quale Baruzzi si riprometteva un’eco da parte del pubblico più colto, tanto da valutare la possibilità di presentare una nuova versione della scultura all’Esposizione di Londra del 1851, che verrà poi scartata. Baruzzi eseguirà un’altra Eva, questa volta sorpresa a staccare il frutto proibito, per Vittorio Emanuele II. Assieme ad una Venere dormiente, l’Eva venne scolpita per compensare i Savoia della mancata realizzazione del Trionfo della Vergine, in base ad un nuovo accordo stipulato nel 1860 tra Baruzzi e Ludovico di Breme, a nome del re. Secondo tale accordo entro il 1861 lo scultore si impegnava a far recapitare a Torino le due statue, realizzate col marmo già messo a sua disposizione per la scultura sacra. Trasferite a Napoli nel 1886 le due statue sono oggi conservate presso il museo di Capodimonte.

Ma la riflessione sull’argomento era tutt’altro che esaurita con la realizzazione dell’Eva per Torino. A distanza di pochi anni Baruzzi realizza due gruppi in terracotta che ragurano entrambi i progenitori nella pace dell’Eden. Recentemente restaurate e conservate presso le Collezioni Comunali d’Arte di Bologna, le due terrecotte hanno per soggetto ancora una volta un tema tratto da Milton. I progenitori sono raffigurati in un momento del loro ingenuo idillio, ai piedi di un albero, circondati da coppie di animali. La data avanzata incisa da Baruzzi assieme alla firma e al soggetto ci permette di concludere che questo tema lo occupò quasi fino alla fine dei suoi giorni. Come attesta anche il piccolo gesso ragurante Eva pensosa che ascolta la voce del serpente, anch’esso conservato presso le Collezioni Comunali. Un’ulteriore riflessione su questo tema è documentato nel 1868, quando si registra nello studio di Baruzzi un modello in creta di Eva pentita al quale stava lavorando Prudenzio Piccioli, che verrà formato in gesso da Malpieri, ma della quale non restano tracce.

Antonella Mampieri
maggio 2014

Estratto sintetico dalla scheda realizzata dall'autrice per il volume Cincinnato Baruzzi (1796 - 1878), secondo numero della Collana Scultori bolognesi dell'800 e del '900 (a cura di Roberto Martorelli), Bononia University Press, Bologna, 2014

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