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Corpo dei Bombardieri

Schede

Dopo le prime battaglie della grande guerra combattute in Francia ed in Belgio, le operazioni militari andarono perdendo molto del loro dinamismo per il largo ricorso degli eserciti ad ostacoli passivi quali le barriere di filo spinato, e per gli imponenti lavori di fortificazione campale, tipo trinceramenti, ricoveri, osservatori, camminamenti, ecc. Il fronte italiano nel 1915 non fece eccezione, le trincee e gli ostacoli accessori, accoppiati all’impiego su vasta scala delle mitragliatrici condizionarono pesantemente l’andamento delle operazioni belliche, riducendo drasticamente la libertà di manovra della fanteria; per superare l’immobilismo della guerra di posizione, le nazioni in lotta si impegnarono nello studio di nuovi ritrovati bellici che consentissero agli attaccanti la penetrazione nelle linee nemiche.

Furono messi a punto numerosi e talvolta bizzarri sistemi di distruzione o di superamento dei grovigli di filo spinato, in Italia si studiò, ad esempio, il lancio con bocche da fuoco di arpioni collegati a funi per lo sradicamento dei reticolati. Nessuno di questi ingegnosi sistemi trovò larga applicazione e raggiunse l’efficacia voluta contro barriere spinate che potevano raggiungere vari metri di profondità. Il ritrovato più efficace, adottato sul fronte occidentale fin dal 1914, fu quello di ricorrere, oltre al tiro di proiettili di artiglieria di medio calibro, alla cosiddetta bombarda. Si trattava di una sorta di mortaio a tiro arcuato, di dimensioni ridotte per l’impiego in trincea, capace di tirare a brevi distanze una forte carica esplosiva; queste armi si presentavano, inoltre, molto efficaci anche contro fanterie riparate dietro trinceramenti, altrimenti difficili da colpire con armi a tiro diretto. Ogni esercito adottò specifiche classificazioni e peculiari termini di identificazione delle bombarde in base all’impiego cui erano destinate, alle prestazioni ed alle dimensioni. In Italia, le bombarde erano di solito le armi più ingombranti in uso presso l’Arma di Artiglieria, mentre le bocche da fuoco di calibro minore erano conosciute come lanciabombe, generalmente impiegati dalla fanteria più contro bersagli animati che contro ostacoli passivi. Fu nel febbraio del 1916 che il Ministero della Guerra emanò le disposizioni per l’organizzazione dei reparti bombardieri, istituendo ufficialmente detta specialità come branca dell’arma di artiglieria. Ai primi marzo dalla Scuola di Susegana uscì il 1° gruppo bombardieri, su quattro batterie da 50 mm; ogni batteria comprendeva: 12 bocche da fuoco, 42 cavalli, 5 ufficiali, 125 soldati, 14 carri, 1 bicicletta. Comunque il numero di uomini e di armi per batteria variò molto in funzione del calibro della bombarda.

Alla V° Battaglia dell’Isonzo di marzo 1916, parteciparono 4 gruppi di bombarde per un totale di 13 batterie, oltre a varie sezioni di lanciabombe da trincea; per lo scarso effetto, il Comando Supremo ne vietò temporaneamente l’utilizzo. Soltanto in vista della VI° Battaglia, Gorizia, il numero di batterie fu giudicato sufficiente; alla sola 3° armata furono assegnati 768 pezzi di vario calibro ed i preparativi per la messa in linea di fuoco durarono circa un mese. Tuttavia, a dicembre del 1916, allo scopo di preservarne la forza e la costituzione organica, il Comando Supremo ordinò il ritiro di tutte le bombarde dal fronte, avocando a se il diretto controllo ed impiego dei reparti, che erano perciò assegnati per le operazioni di fuoco, solo su richiesta dei comandanti delle armate ed in via provvisoria. Un importante sviluppo della bombarda da 240 mm fu quello di allungare il tubo di lancio, che arrivò a misurare mt 3,05, la gittata massima passò a circa 3 km; naturalmente un tiro così lungo, soggetto alle raffiche di vento e lanciato da un tubo ad anima liscia peccava gravemente di precisione, tanto che si dovette aumentare il numero di proiettili necessari alla distruzione dell’obiettivo. Nel maggio del 1917 dalla Scuola di Susegana uscì la prima batteria di bombarde da 400 mm, formata da due pezzi: l’arma lanciava un proiettile di 270 kg con carica esplosiva di 105 kg, a 4 km di distanza, aveva una cadenza di tiro d 6 colpi l’ora. La battaglia dell’Ortigara di giugno 1917, vide il primo impiego a massa delle bombarde su terreno montagnoso. L’efficacia dell’arma venne condizionata dalle condizioni atmosferiche avverse, perché uno scroscio d’acqua dentro al tubo di lancio aveva l’effetto di bagnare gli inneschi procurando un colpo a vuoto, foschie e nubi basse impedirono l’accurata osservazione del tiro, mentre forti raffiche di vento influirono sulla traiettoria delle bombe; per questi motivi il bombardamento venne interrotto quasi subito e le fanterie italiane trovarono i reticolati austriaci intatti. La ritirata di Caporetto causò la perdita di centinaia di bombarde, tanto che alla fine di novembre 1917 era disponibile una cospicua forza di ufficiali e truppe del corso bombardieri senza compiti precisi. Il Comando Supremo ordinò la formazione di due brigate di bombardieri – fucilieri e di un reggimento autonomo. Le due grandi unità presero il nome di 1° e 2° Brigata Bombardieri, ciascuna formata da 3 reggimenti su 3 gruppi e 3 compagnie di mitraglieri; le due brigate passarono in forza alla 23° divisione lungo la linea del basso Piave.

Più valido risultò l’apporto alle due battaglie d’arresto combattute dal nostro esercito a novembre e dicembre 1917, dei lanciabombe da trincea di calibro da 58 a 70 mm; essi in gruppi o armi isolate furono impiegati in tiri notturni di disturbo o contro i lavori difensivi del nemico, per battere assembramenti di truppe al riparo nelle trincee o camminamenti dai quali affluivano i rincalzi. Un problema importante radicalmente risolto dalla Scuola di Susegana nel 1917, fu quello della riparazione dei materiali. Le bombarde che tornavano deteriorate dal fronte, mentre prima erano inviate alle officine di fabbricazione, vennero portate a Susegana e rimesse in efficienza da officine modernamente attrezzate; poi erano provate al poligono di tiro della scuola e quindi rientravano al fronte. A metà agosto del 1918, ai reparti di fanteria italiana fu distribuito un nuovo lanciabombe tipo Stokes, anglo-francese; l’arma era facilmente trasportabile a braccia, sostenuta da un bipiede e con una cadenza di 8 – 10 colpi al minuto: era molto simile al mortaio della II° guerra mondiale. La Specialità dei Bombardieri pur avendo avuto vita molto breve - fu infatti sciolta subito dopo la fine della guerra - conobbe un notevole sviluppo organico nel corso del conflitto e contribuì non poco alla vittoria finale. La scuola dei bombardieri si trovava presso il paese di Susegana, ben servito da una strada di grande importanza, dalla ferrovia e con spazi sufficienti per il poligono di tiro; inoltre nella vicina località di Mandre una antica fattoria offriva alloggio e stanze per la scuola ufficiali bombardieri. La scuola divenne operativa verso la fine del 1915, per addestrare alla nuova arma ben 170.000 soldati di artiglieria, fu trasferita a Sassuolo a novembre del 1917, cessò dopo il 1918. Le esercitazioni duravano 4 mesi con 34000 soldati per quadrimestre, al poligono di tiro si utilizzavano bombarde di calibro da 50 a 400 mm.
Bibliografia: Filippo Cappellano, Bruno Marcuzzo, I Bombardieri del Re, Udine, Gaspari ed., 2005

Paolo Antolini