Schiavio Angelo

Schiavio Angelo

15 Ottobre 1905 - 17 Settembre 1990

Note sintetiche

Scheda

La sua è proprio una storia d’altri tempi. Angelo Schiavio era nato benestante, sesto figlio di papà Angelo, sceso da Como a Bologna a fondare la Schiavio-Stoppani, ditta di abbigliamento. Doveva la vita a un celebre luminare della medicina bolognese, il professor Bartolo Nigrisoli, che nell’aprile 1906, accorso di notte nell’abitazione della famiglia in via Toscana (poi via Murri) chiamato dalla famiglia per il piccolo (nemmeno un anno) che non dava più segni di vita, diagnosticato un enfisema al polmone destro, appoggiava il bimbo bocconi sul tavolo di marmo della cucina e, incisagli la schiena, gli toglieva (senza anestesia) una costola sotto la scapola destra, lasciando poi aperta la ferita a scopo di drenaggio (si sarebbe chiusa in via definitiva solo quattro anni dopo). Cose da predestinato, come l’impegno nell’azienda di famiglia. «Pur di giocare nel Bologna» raccontava poi, «avrei pagato di tasca mia». E così per lunghi anni non incassò una lira, si allenava, giocava e segnava per il piacere di interpretare lo squadrone che tremare il mondo fa, rappresentarlo in Nazionale, sentire sulla pelle i colori rossoblù che mandavano in delirio la folla dello Sterlino e poi del Littoriale. Stiamo parlando del massimo bomber dei suoi tempi, 348 partite e 241 gol, tutti in A, tutti col Bologna, a cavallo della nascita del girone unico e quindi troppo presto per figurare adeguatamente ai vertici delle statistiche specifiche.

Del centravanti che inchiodò l’estremo volo di Planicka ai supplementari della finale di Coppa del Mondo a Roma 1934, fermandolo per sempre nelle foto che ne hanno immortalato la resa, a ginocchia lievemente piegate, a braccia aperte in disperato volo. Solo nel finale di carriera accettò una Lancia Artena, nel 1932, e qualche premio. Eppure, il Bologna faceva tremare il mondo soprattutto coi suoi gol. Di prepotenza, d’intuito, d’azzardo. Il gol lo aveva nel sangue e lo gettò come una pallina nella roulette non appena gli fecero sporgere il capo sulla prima squadra: doveva ancora compiere diciassette anni, quando approdò al Bologna, richiesto dall’allenatore Felsner. Aveva cominciato prestissimo a tirar calci coi colori della Fortitudo, squadra dilettantistica, poi due compagni di scuola più grandi, Baldi e Genovesi, che giocavano nel Bologna, lo avevano segnalato al tecnico, che nel 1922 lo vestì di rossoblù. Centravanti all’epoca giocava Alberti, un “big” dell’epoca, e per Schiavio, impaziente di scendere in campo, non c’era posto. Alla fine di quell’anno, l’infortunio di Alberti porta al centro dell’attacco rossoblù la mezzala sinistra Geppe Della Valle, un campione. Il 31 dicembre 1922 sono in programma sul campo bolognese dello Sterlino due partite consecutive: i ragazzi del Bologna contro il Wiener di Vienna e poi la prima squadra contro l’Ujpest di Budapest. Il primo incontro viene vinto 2-0 dai ragazzi, con due gol di Schiavio. Mentre i giovani giocano, negli spogliatoi si preparano i “grandi”, tra i quali Della Valle viene colto da una violenta febbre, che lo costringe a farsi riaccompagnare immediatamente a casa. Quando Schiavio rientra sudato negli spogliatoi a fine partita, trova Felsner che gli chiede se se la sente di giocare un’altra partita. Come no? Schiavio rientra in campo e con un gol conduce il Bologna “vero” alla vittoria per 1-0. Il ragazzo diventa un beniamino del pubblico e conquista il posto di titolare: giocando per tre ore di fila e segnando tutte e tre le reti delle due partite. Così andava il calcio di allora.

L’allenatore Felsner ne lavorò i fondamentali ammorbidendo il tocco di quell’ariete che entrava in area senza paura, coi gomiti appuntiti e una forza dentro, quella che punta dritto al gol, impossibile da insegnare. Abbandonati gli studi a quattordici anni, il fratello Raffaele lo aveva preso a lavorare nel negozio di famiglia. «Mi allenavo una sola volta alla settimana con la squadra: il giovedì» avrebbe ricordato; «per il resto, dovevo prepararmi da solo, al mattino presto e la sera in palestra». Il calcio era la sua vita: «Dicevano che mangiavo il pallone, tanto ero abile a mantenerlo: il mio dribbling era molto efficace. Avevo un notevole scatto e un buon tiro. Ma soprattutto non ero emotivo: segnai subito al mio esordio in Nazionale, in Jugoslavia». Nel Bologna prese il posto dello sfortunato Cesare Alberti e continuò per anni a vivere per il gol. Il gol e l’azienda di famiglia. Quattro scudetti (1924-25, 1928-29, 1935-36 e 1936-37), due Coppe dell’Europa Centrale (1932 e 1934), il Torneo dell’Esposizione di Parigi nel 1937 oltre al titolo mondiale (1934) e alla Coppa Internazionale (1935) con la maglia azzurra. Lasciò la Nazionale dopo il trionfo mondiale, mentre col Bologna durò fino al 1937, poi disse basta: doveva sposarsi e il lavoro portava via troppo tempo. Così lasciò le piste del gol e tornò su quelle della vita, abbandonando completamente il calcio, anche se in qualche circostanza avrebbe ancora aiutato il suo presidente Dall’Ara nei momenti di difficoltà della squadra. Si era ritirato da campione del mondo, gli sarebbe bastato per essere un monumento fino alla fine, sopraggiunta il 17 settembre 1990. Riposa nella cappella di famiglia collocata nella Certosa di Bologna, muro di cinta del Campo Ospedali.

Carlo Felice Chiesa

Presenze in rossoblù in Campionato 348 reti 241, in Coppa Italia 1 reti 0, in Europa 15 reti 9

In Italia
1922-23 Prima Divisione 11 6; 1923-24 Prima Divisione 24 16; 1924-25 Prima Divisione 27 15; 1925-26 Prima Divisione 23 26; 1926-27 Divisione Nazionale 25 15; 1927-28 Divisione Nazionale 30 26; 1928-29 Divisione Nazionale 29 29; 1929-30 Serie A 15 7; 1930-31 Serie A 21 16; 1931-32 Serie A 30 24; 1932-33 Serie A 33 28; 1933-34 Serie A 19 9; 1934-35 Serie A 27 13; 1935-36 Serie A 26 9 C.I. 1 0; 1936-37 Serie A 2 2; 1937-38 Serie A 6 0

In Europa
1932 Europa Centrale 3 1; 1934 Europa Centrale 6 4; 1936 Europa Centrale 1 1; 1937 Europa Centrale 2 1; 1937 Esposizione 3 2

Leggi tutto

Ha fatto parte di

Eventi

Luoghi

Persone