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Mario Sarto

13 Ottobre 1885 - 3 Settembre 1955

Scheda

Mario Sarto era nato a Codigoro il 13 Ottobre 1885 in una casa di via Roma, da Luigi, impiegato di origini venete, parente alla lontana di Papa Pio XI (Giuseppe Sarto) e dalla codigorese Irene Gallottini. La madre era imparentata invece con Francesco Tellori, fotografo e scultore dilettante. Ottenuto il trasferimento a Ferrara come impiegato alle “Poste e Telegrafi”, nel 1891 Luigi Sarto si stabilì nel capoluogo con tutta la famiglia. Il figlio rivelò fin da bambino predisposizione per l’arte e dopo le elementari venne iscritto alla scuola civica “Dosso Dossi” di Ferrara che risulta frequentare già nel 1898, qui il suo principale insegnante fu lo scultore Luigi Legnani (docente di Plastica), ma ricevette lezioni anche da Ernesto Maldarelli, ebanista ed insegnante di disegno, Giuseppe Ravegnani (decoratore-scenografo-prospettico) e dai pittori Angelo Longanesi Cattani e Angelo Diegoli, docenti di Figura.

Potendo contare su uno stipendio di sole “quattro lire e mezzo al giorno”, Luigi Sarto richiese contributi sin dal 1902 all’amministrazione Provinciale per poter mantenere il figlio agli studi, ottenendoli, come li otterrà dalla Camera di commercio di Ferrara. Alla fine dell’anno scolastico 1901-1902 Mario si distinse nel corso di Decorazione venendo premiato anche in quello 1904-1905. Decidendo di perfezionarsi nella scultura, il ventenne artista codigorese, si recò a Milano e il 4 novembre 1905 superò l’esame di ammissione all’Accademia di Brera iscrivendosi al “Terzo Corso Comune”. Si stabilì in una casa di viale di Porta Vigentina (civico 16) e frequentò le aule di plastica. Nel corso del suo soggiorno milanese, durato all’incirca un anno, si tenne l’Esposizione di Belle Arti, allestita nel 1906, dove l’artista ebbe sicuramente modo di ammirare alcune delle più interessanti manifestazioni dello stile Liberty in Italia, sia in pittura che in scultura. Ma vivere a Milano costava parecchio denaro (le 100 lire di sussidio concessegli dalla Provincia di Ferrara certamente non potevano bastare) e Mario Sarto pur ottenendo la promozione al Corso Speciale si vide costretto a ripiegare sulla più comoda ed economica Accademia di Belle Arti di Bologna, dove si iscrisse sul calare del 1906 seguendo i corsi di scultura di Enrico Barberi (1850-1941).

Li seguì per un paio di anni, ottenendo nel 1908 il diploma di scultura e nel luglio 1909 il diploma di professore di disegno. Per mantenersi agli studi aveva iniziato a lavorare, operando come direttore artistico presso il laboratorio di scultura “Ditta Davide Venturi & Figlio” di Bologna, particolarmente attivo nel settore funerario. Inoltre si era fidanzato con Ione Diegoli, figlia del pittore Angelo, maestra elementare che sposerà a Ferrara il 1 settembre 1909: il nuovo legame familiare risulterà importante anche per la sua carriera professionale, poiché grazie al matrimonio diventerà cognato dei fratelli Giacomo (architetto) e Giuseppe Diegoli (ingegnere) con i quali si troverà proficuamente a collaborare. Inizialmente Sarto si dedicherà a Ferrara ad opere di restauro: nel 1909, per incarico dell’associazione “Ferrariae Decus”, riprodusse in marmo un antico simbolo eucaristico per la facciata del monastero del Corpus Domini. Nel campo della riproduzione è altresì da inserire la sua copia in marmo del busto di Tancredi Trotti Estense Mosti, ricavato da un modello di Tancredi Legnani e donato nel 1913 dai superstiti Bersaglieri del Po al Museo del Risorgimento di Ferrara.

Il legame del codigorese con il suo primo maestro di plastica è rafforzato dall’esecuzione della tomba dello scultore nella Certosa di Ferrara, commissionata dal Comune: un lastra a bassorilievo eseguita subito dopo la scomparsa del Legnani, avvenuta a Ferrara l’11 settembre 1910. E’ il primo episodio significativo d’una feconda attività nel cantiere cimiteriale cittadino, che lo vedrà artefice inizialmente di fini ritratti marmorei a medaglione a cominciare dall’effige di Simone Gabrielli del 1909 per proseguire con quelli di Luigi Gaggia, dei coniugi Guglielmo e Cesira Lodi, del signor Guidicini, nonché del “Cristo” di profilo posto sulla tomba Franceschini. Scalati nell’arco di un decennio questi medaglioni si inserivano sotto gli archi del complesso certosino, ridisegnandoli con gusto secessionista (Gabrielli), liberty (Guidicini) o Art Dèco: è questo il caso della tomba D’Agostini, progettata dal cognato Giacomo Diegoli. Il medesimo gusto compositivo si ritrova in un paio di lapidi commemorative ai Caduti della Grande Guerra: da quella nell’atrio del Municipio di Sant’Agostino a quella di Ferrara, in onore degli studenti dell’Istituto Tecnico, con sfingi e daghe romane. Più banale risulta il sarcofago Lodi, iniziato nel 1921 dallo scultore Giovanni Pietro Ferrari e da lui lasciato incompiuto e completato da Sarto nel 1924 così come non eccelso appare il sepolcro Veronesi-Gallini, sormontato da una grande croce greca specie se confrontato con la vicinissima tomba Borsari di Legnani e Zuffi. Ma i veri capolavori di Sarto nella Certosa di Ferrara, in stretta intesa con i cognati progettisti (soprattutto Giacomo), sono le edicole sorte in un campetto non lontano dalla tomba lodi a cominciare dalla cappella Pedriali del 1919-20 (epoca in cui egli apre in viale Cavour una “mostra permanente di arte funeraria” con laboratorio in via Soncina). Gli elementi marmorei, cementizi e in ferro battuto realizzati da Sarto e da valenti maestri ferrai si integrano perfettamente all’esuberanza decorativa dei prospetti, che sembrano voler aggiornare i retaggi eclettici dell’età umbertina, caricandoli di un senso scenografico quasi ossessivo, ma con geometrismi di aggiornato stile dèco. Queste interpretazioni tral’assiro-babilonese, il barocco, azteco o neo-egizio, dimostrano uno spirito “moderno”, in sintonia con quanto i fratelli Giacomo e Giuseppe Diegoli potevano ammirare a Milano nella stazione centrale, dell’architetto Ulisse Stacchini, progettista anche di cappelle nel Cimitero Monumentale. L’edicola Baruffa-Franchella del 1924 è un altro dei capolavori nati dalla collaborazione con Giacomo Diegoli: due grandi figure bronzee di dolenti fiancheggiano la porta di un complesso che ricorda i ritmi dell’architettura nordica, fra Vienna e Monaco di Baviera. Il bronzeo medaglione del suocero Angelo Diegoli (morto nel 1927), invece è di un realismo ancora ottocentesco, mentre quello di Rossana Calzolari, scomparsa nel 1933 (un marmo nell’edicola di famiglia) è di più moderna caratterizzazione espressiva, in sintonia con gli esempi novecenteschi, che Sarto manifestava in questi anni nelle opere per la Certosa di Bologna, nei cui pressi aveva aperto un’attrezzatissimo laboratorio.

Scultore-imprenditore oberato di commissioni, Sarto aveva comunque aggiornato il proprio linguaggio, tutt’altro che attardato e fermo alle opere giovanili liberty. Vi è inoltre la tomba dei fratelli Armando e Arrigo Saccenti, scomparti entrambi nel 1918, ad una settimana di distanza, “per la difesa del sacro suolo italico”, come recita la lapide sottostante ai due ritratti a medaglione e ad un vaso scolpito in marmo, con due ali e fiamme sempiterne. Fra gli altri ritratti del Sarto reperibili degli spazi pubblici di Ferrara, è infine il medaglione di Temistocle Solera, librettista verdiano, collocato nel 1914 presso l’atrio del teatro “Verdi”. Presso l’Archivio del Municipio di Bondeno si conserva un disegno schematico della tomba dei fratelli Mario e Augusto Celeghini, progettata nel 1936 dal geometra Pellizzari. La grande lunetta di marmo al centro dell’arco rappresenta una scena di aratura, in cui il Sarto sembra ricordarsi degli esempi studiati a Milano, ma nel contempo si pone in intelligente dialogo con analoghe tombe realizzate nel cimitero di Bondeno, luogo di sepoltura di vari proprietari terrieri. La celebrazione dei lavori dei campi, dall’aratura col vomere alla semina del grano, sembra voler laicamente sconfiggere l’idea dell’irreversibilità della Morte, in un concetto di perenne rinnovamento. E’ quasi lo stesso concetto per così dire, che si ritrova in uno dei suoi più bei Monumenti ai Caduti, quello di Mezzogoro, alla cui base vi è un bronzeo rilievo con un vecchio che sta arando, mentre nella parte alta è una figura di un fante che stringe il fucile ed alza la bandiera: si tratta, idealmente, della figura del figlio-soldato che vince la guerra, mentre nell’Italia rurale delle retrovie, del fronte interno, è l’anziano genitore a proseguire la vita di tutti i giorni, a provvedere al sostentamento dei “civili”. E’ l’esaltazione di una civiltà contadina.

Ma i monumenti migliori del Sarto sono quelli in cui realizza iperrealistiche figure retoriche in bronzo, che reggono bandiere, fucili, baionette, con mani callose, hanno fasce di stoffa alle gambe e appaiono virilmente “armoniosi”, nonostante i tragici disastri della guerra e il duro lavoro compiuto. Al di là del Monumento ai Caduti di Sant’Agata Bolognese, inaugurato nel 1925, Mario Sarto realizza un esemplare epopea bellico-contadina nel Basso Ferrarese, soprattutto eseguendo i Monumenti di Codigoro, Mezzogoro, Lagosanto, Guarda Ferrarese, Crespellano tra il 1922 e il 1931. Mario Sarto in queste sue opere vuole essere immediato, diretto, senza filtri di carattere allegorico-letterario e scordando gli esordi liberty; anzitutto per favorire una sorta di identificazione fra i soldati in bronzo ed i compaesani che li guardano ammirati dal basso del piedistallo, ma anche con affetto. Lontane dagli anni della formazione ferrarese e dai Monumenti ai Caduti nel Basso Ferrarese sono le opere funerarie presenti nella Certosa di Bologna, dal taglio classicheggiante tipico nella rappresentazione del Novecento. Ricordiamo fra tutti il magnifico monumento Capelli in bronzo, il monumento a Beatrice Comi, il monumento Sabbioni; e ancora la Cappella “Carla Pezzi”, la Cappella per la Famiglia Sarti, il Monumento per la Famiglia Carretti, la Cappella per Luciana Graldi, il Sarcofago per il giovane aviatore Ezio Parenti, la Cappella per la Famiglia Ferraresi, il Sarcofago per la Famiglia Avrone e il Sarcofago per la Famiglia Fantoni.

In questo periodo operoso Sarto lascia la direzione artistica della Ditta Venturi ed apre un proprio laboratorio su via Andrea Costa. Purtroppo la proprietà verrà requisita per costruire il complesso sportivo del 'Littoriale' e ciò lo portò alla chiusura nel 1934. L'artista però si riprese da questo duro colpo, come dimostrano i numerosi monumenti eseguiti nel dopoguerra e un piccolo catalogo da lui pubblicato nel 1950. Nella tarda attività prese il sopravvento l’arte sacra, eseguendo il battistero di S. Maria della Pietà a Bologna e nel 1926 nel giardino del convento di San Giuseppe, fuori Porta Saragozza eseguì una colonna con la statua del santo di Assisi, sotto disegno dell’architetto comunale di Umberto Rizzi (1903-1965) Il 13 marzo di quell’anno, nonostante la pioggia dirotta, venne inaugurato il monumento realizzato da Mario Sarto: sul capitello della colonna, realizzata in marmo, in stile classico e alta dodici metri, troneggia l’immagine di San Francesco, che volge lo sguardo verso la città di Bologna e come promessa di sicura benedizione, stende la destra benedicente.

Il suo ultimo studio bolognese era collocato in via Nosadella, mentre abitava con la moglie e le figlie Anna Ada e Maria Luisa in via S. Frediano. Qui Mario Sarto scomparve, il 3 settembre 1955.

Carolina Calegari