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San Michele in Bosco - Istituto ortopedico Rizzoli

Di rilevanza storica

Schede

Il complesso di San Michele in Bosco è uno dei più antichi insediamenti religiosi sorti nel suburbio di Bologna. E' ricchissimo di opere d'arte, tra le quali si ricordano il refettorio con "La cena di Gesù e Maria" dipinta da Giorgio Vasari e i due chiostri affrescati da Ludovico Carracci con i suoi allievi. Nel 1798, in seguito alla soppressione napoleonica, il complesso venne utilizzato prima come caserma, poi come carcere e, successivamente, come residenza del legato pontificio e del re d'Italia. In occasione dell'Esposizione Emiliana del 1888 il complesso fu la sede dedicata all'Esposizione delle Belle Arti e del 'Tempio del Risorgimento'. Verso la fine del XIX° secolo se ne decise la trasformazione in ospedale e si provvide al restauro completo delle strutture, anche grazie ad un cospicuo lascito  di 55.000 lire del chirurgo Francesco Rizzoli, cui il nuovo edificio fu in seguito intitolato. L'ospedale fu inaugurato nel 1896. L'Istituto, che voleva dirigere lui stesso, doveva avere come nobile scopo 'il progresso della scienza, il bene dell'umanità e il patrio decoro'. Questo gesto non solo dimostrò la generosità del donatore ma anche la lungimiranza dello scienziato che previde la separazione in tempi brevi della 'chirurgia dell'apparato scheletrico' da quella generale. I monaci olivetani tornarono ad officiare nella loro chiesa nel 1933. 

Testo tratto da XXVIII Giugno MDCCCXCVI - Supplemento al N. 180 del Resto del Carlino. Trascrizione a cura Lorena Barchetti.

"La storia artistica dell'antico convento degli Olivetani di Bologna è quanto di più vario e di più interessante possa offrire lo studio di un monumento. Solo chi abbia dato una scorsa ai libri della fabbrica e di ricordi del convento può farsi un'idea della grandissima produzione artistica a cui la costruzione della chiesa e del convento di S. Michele in Bosco dette luogo per quasi quattro secoli. E lo studioso dell'antica arte nostra, che ricerca anche nei più modesti avanzi di quella l'eleganza e purezza di linee, di cui sembra essersi perduto il segreto, ritrova tuttora in quell'edificio, troppe volte ricostrutto e adattato agli usi moderni, delle parti degne di osservazione e più numerose traccie dei lavori ricordati dai documenti.

Sul colle di S. Michele (che dai documenti del XIV secolo è chiamato de busco per la selva che vi si stendeva intorno) gli Olivetani della casa di Bologna eran venuti ad abitare fin dal 1364, seguendo l'esempio di altri religiosi che molto tempo prima si erano ritirati lassù e vi avevano fabbricato, vuolsi, su degli avanzi di costruzioni pagane. Le lotte delle fazioni e i pericoli della guerra indetta da Martino V nel 1420 costrinsero i monaci ad abbandonare quel luogo e il convento fu distrutto dai Canetoli, nel timore che potesse servire di riparo ostile ai bentivoleschi aspiranti al potere della città. Gli olivetani poterono ritornare più tardi, sul colle, e aiutati dal papa, da prelati e da ricchi fedeli si diedero a ricostruire, con maggior vastità, il loro convento. I lavori incominciarono l'8 luglio 1437 e proseguirono attivamente per un ventennio.

Prima a sorgere fu la chiesa, eretta sopra una cripta che si vede tuttora: di quell'antica chiesa rimangono tracce notevoli in un cortiletto attiguo al chiostro dei Caracci e l'abside della sagrestia ornata di terre cotte.

Vi si costrusse a lato un primo grande chiostro rettangolare con portico, decorato di pitture colle istorie di S. Benedetto, nel 1467, da un Onofrio di Fabriano. A ricordare la ricchezza di quel chiostro non rimane oggi che un affresco pieno di figure ben conservato rappresentante una vestizione. La stessa rovina subirono altri due chiostri costrutti in quel secolo. L'uno, quello di mezzo, fu rifabbricato in freddo stile classico nel 1587 da Pietro Fiorini, e dipinto a festoni e putti, ora scomparsi, da Cesare Baioni; l'altro, ottagonale, eretto dallo stesso Fiorini, fu riccamente decorato di grandi istorie da Lodovico Caracci e dà suoi scolari nel 1604; il genere di pittura scelto dagli artisti fu la causa della rapida rovina di quelle, tanto che, trent'anni soli dopo l'esecuzione dei dipinti, Guido Reni vi restaurava il suo per mera amorevolezza, senza riguardo d'interesse alcuno, come osserva il libro di ricordi di quel tempo.

Sorte più fortunata ebbe la chiesa che, rifabbricata nei primi anni del cinquecento (dopo una breve assenza dei frati causata dalle lotte che precedettero la cacciata dei Bentivoglio), conserva ancora la sua bella veste del rinascimento. Ad arricchirla contribuì un modesto tagliapietre (come lo ricordano i libri del convento), che meriterebbe essere più conosciuto che non sia: Bernardino da Milano. Al suo scalpello dobbiamo la bella porta col ricchissimo fregio sull'architrave, che fu persino creduto cosa romana, eseguita su disegno di Baldassarre Peruzzi, una piletta dell'acqua santa, gli archi di macigno a fogliami e candeliere della chiesa e del coro notturno, la porta della sagrestia. L'arredo sacro (gli stalli intarsiati da fra Raffaele da Brescia nel 1521-25 ora in S. Petronio, nella cappella Malvezzi, il grande quadro di Innocenzo da Imola oggi in Pinacoteca, ecc) andò disperso qua e là. A ricordare la ricchezza della chiesa del cinquecento rimangono oggi che le belle tarsie di due confessionali e il monumento al condottiero Armaciotto dei Ramazzotti del lombardi. Le decorazioni attuali ad affresco sono di valenti prospettivisti del secolo XVII. Presso la ciesa, nel coro notturno, il grande affresco di Innocenzo da Imola che rispecchia la grandiosità della scuola romana, rappresenta anch'esso degnamente l'arte del cinquecento.

Del vastissimo convento la parte più conservata e più ricca è certamente il refettorio. Fabbricato del primo ventennio del cinquecento fu dipinto, come è noto, nel 1539 da Giorgio Vasari e dà suoi scolari Cristofaro Gherardi e Stefano Veltroni, che sopra il largo fregio dipinsero tutt'attorno le vedute dei conventi dell'ordine. Andaron perduti i banchi intagliati da Luca fiorentino, coll'aiuto di otto garzoni. Recenti restauri a cura della Deputazione Provinciale ridiedero a questo locale il suo originale aspetto. Altri lavori di adattamento furono successivamente fatti nel sei e settecento nella sagrestia, nell'antica libreria, nelle sale dell'appartamento del Priore, oggi reale, e il grande edifizio perdette allora quasi del tutto la sua antica struttura del rinascimento.

Abolite nel 1797 le corporazioni religiose, gli ultimi olivetani abbandonarono per sempre il luogo, successivamente ridotto a caserma, a luogo di pena, a villa legatizia e finalmente a villa reale dopo che 1860 vi ebbe soggiornato il Gran Re.

L'antico convento, aperto alla scienza e alla carità dopo il lascito del chirurgo Francesco Rizzoli, conserverà alle generazioni avvenire i pochi avanzi artistici, gelosamente custoditi, a ricordo dell'antica grandezza."

In collaborazione con la Fondazione Cassa di Risaprmio in Bologna