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Giuseppe Ragni

1867 - 24 Maggio 1919

Scheda

E' stato il vero, autentico re dei venditori ambulanti bolognesi. Dotato di grande comunicativa, era in grado di piazzare qualsiasi tipo di merce: quando aveva esaurito le proprie scorte prestava la sua abilità ai colleghi che invece stentavano a far giornata. Si presentava nelle piazze inalberando un cappello a cilindro sul quale faceva bella mostra una saracca (aringa) con in bocca un biglietto da cento lire: rappresentavano la povertà e la ricchezza. La sua attività di venditore ambulante, che per anni lo trovò presente nei mercati della provincia, gli permise di raggiungere una certa agiatezza. Ebbe per un certo periodo come apprendista un altro personaggio che, caratterizzandosi diversamente, sarebbe poi divenuto un altro grande del mercato bolognese della Piazzola: Oreste Biavati. Scrisse centinaia di zirudelle (storielle) che poi vendeva in fogli volanti al pubblico che assisteva divertito alle sue concioni. In anni recenti il figlio Enrico, in collaborazione con Odette Righi Boi, ha dato alle stampe due volumi in cui ha raccolto aneddoti, zirudelle e ricordi del padre. Morì schiacciato da un mezzo militare, che non aveva visto per la nebbia. Riposa nel Campo 1962 della Certosa di Bologna.

Elisa Musi

Così lo ricorda Alessandro Cervellati: “La notte dal 19 al 20 dicembre 1882 fu assassinato a colpi di martello sulla nuca, nella sua abitazione di via Orefici, un notissimo gioielliere: Luigi Camillo Coltelli. Incolpata del delitto fu la domestica Enrica Zerbini, la quale trasferì alcune responsabilità del crimine a un certo Pallotti. Quando il 28 dicembre 1883 ebbe luogo il processo (prolungatosi fino al 5 febbraio 1884) l'interesse della cittadinanza assunse un aspetto morboso. Fu allora che un ragazzo di S. Lazzaro di Savena di 16 anni, ex calzolaio, ex caffettiere, ebbe la buona idea di pubblicare i bollettini giornalieri del processo; li strillò e li vendette facendo affari d'oro. L'intraprendente ragazzo, Giuseppe Ragni, trovò da quel momento la sua vera via di cantimbanco eccezionale, professione che doveva dargli nel mondo dei banchetti e delle fiere una autentica celebrità. Se il suo nome non è ancorato solidamente nella storia dei classici della ciarlanteria quanto quelli del Moretto da Bologna (1600), del celeberrimo Tabarrino (1600), del famoso Bonafede Vitali (1685-1745) o di Arturo Frizzi (1900), autore del Ciarlatano e del Piccolo dizionario dei gerghi del girovago (Baraldi e Fleischmann – Mantova 1902), la colpa è delle nostre generazioni, sollecite nel cancellare le virtù del passato. Ma ricordi e aneddoti su Ragni ne abbiamo di Testoni, di Sandri, di Umberto Sbulenfi, di Pandolfini (Le due ultime tube petroniane – Almanacco del Resto del Carlino 1933), nonché l'elogio di Riccardo Bacchelli che in Piazzola, alla fiera settimanale delle robe vecchie, aveva conosciuto l'ultimo cantimbanco superstite dei tempi della Commedia dell'Arte; salace ed anche scurrile, ma maestro nell'arte dell'imbonimento, nello sproloquio dottorale, nella satira dei tempi, nel lazzo, nella scena a soggetto e nella pantomima. Il Pandolfini scrisse che il Ragni era un magnifico conoscitore della psicologia della gente del contado e che, dopo avere illustrato i casi dla spousa ed muntagna la quale si era sbagliata di marito, gratificava l'arsdoura, titubante negli acquisti, con il titolo di greccia ed il consorte di bollettari e di magna màl. 'Le insolenze del Ragni non offendevano anzi solleticavano i colpiti a largheggiare nelle compere'. Era insomma il Ragni una specie di attore, dominante il suo pubblico, che gli obbediva quasi ciecamente; egli riusciva ad appioppargli i più eterogenei e singolari prodotti. Il Ragni ha lasciato una breve autobiografia che è un vero peccato non trascrivere per intero. Dopo averci descritto l'avversione dei genitori per la sua inclinazione (il padre voleva farne un prete), il suo trasferimento da S. Lazzaro a Bologna 'in una casa che portava il nome distinto e nobile di Castelmerdo' (sic) e la sua ripugnanza per tutti i mestieri che non avessero affinità con quello del venditore e del ciarlatano di piazza, ci narra l'episodio sopra citato dei bollettini processuali che segnarono il corso professionale della sua vita. Discepolo dichiarato di quel Lamberti 'ben noto a Bologna per le sue pubblicazioni umoristiche dialettali in bernesco, così dette “Zirudelle” ed il suo modo strano di vestire, con dei grandi giacchettoni a coda di rondine, con in testa altissime tube a cilindro e cappelli molto lunghi', il Ragni alla morte della madre si gettò 'a capofitto nella piazza'. 'Mi comperai – dice – una tromba usata e una valigetta; per attirare l'attenzione del popolo cominciai a vestirmi da donna con due grandi mammelle, e mi accorsi che con le mie stravaganze riuscivo bene a far ridere il pubblico e che, riuscito in questo primo intento, il più era fatto per ricavare il maggior profitto. Mi accorsi che il pubblico mi gradiva e mi aspettava, così io mi studiavo di mettere a profitto la simpatia che mi ero attirata'. Ragni ci fa poi sapere che per sette anni lesse libri come: I costumi dei Popoli, la Storia di Roma, Le mie prigioni, Le guerre di Napoleone, La storia del Piemonte, della Lombardia, della Venezia Giulia, dell'Emilia-Romagna, I grandi Ducati, il Medio Evo, Bologna sotterranea rediviva, La storia dei Papi, L'assedio di Firenze, la traduzione della S. Messa, ecc. ecc., il che gli permise di affrontare con sicurezza 'le masse del popolo e tanti ascoltatori che avevano anni di studio'. 'Poi intensificai – continua Ragni – la mia attività di scrittore di zirudella che mi serviva per mascherare spiccate figure di persone che con la forza del Dio dell'oro, tenevano coperti scandali di ogni sorta. Ben undici querele mi piovvero addosso, ma non fui mai condannato, neppure alle spese di processo. Inalberai sulla mia testa una tuba con uno stemma costituito da una saracca e una carta da 100 o da 50 lire. Secondo il mio intento, la saracca impersona e rappresenta l'ignoranza, e il denaro l'intelligenza. In tanti anni del mio mestiere ho scritto non meno di 3000 zirudelle e satire, in italiano, in dialetto bolognese, romagnolo e veneziano, e a forza di vendite di merce di ogni sorta, il problema economico della mia famiglia l'ho onestamente e decorosamente risolto'. Con queste parole hanno termine le note autobiografiche di Ragni e noi vorremmo ora dare qualche esempio della tecnica e della facondia di questo ciarlatano geniale. Ecco un imbonimento di cui i preti fanno le spese: un cardinale fa divieto ad un sacerdote di prendere una serva di meno di 40 anni; infatti questo ne prende due di venti. Un altro prete non vuole battezzare la figlia di un contadino perché costui gli vuole imporre il nome Tigre, nome di bestia; ma il villano gli fa osservare che il Papa ha un appellativo consimile: Leone. Altro dialogo fra prete e contadino; dice il prete: 'Quale è il fuoco che scotta di più?'. Risponde il contadino: 'E' il fuoco del Purgatorio perché fa bollire la pignatta dei preti'. 'Fin qui hai ragione', ammette il sacerdote. Poscia il Ragni rideva da ammazzarsi sfornando le sue 'larghe guance gioviali e licenziose' come dice Bacchelli. Ebbene cosa credete che il ciarlatano vendesse dopo un simile preambolo? Nientemeno, dopo una piccola ritoccatina dell'argomento, che libri da messa, i quali andavano naturalmente a ruba. Povero Ragni! Doveva morire tragicamente la sera del 23 maggio 1919, investito da un camion militare, in via Pietramellara, mentre rincasava, reduce da un mercato, guidando il cavallo del suo biroccino. La sua epigrafe dice che la fine di questa simpatica e tipica figura di popolare divulgatore di caustiche e bizzarre canzonette, fu compianta da tutto il popolo. Indubbiamente questo compianto popolare fu uno dei più autentici e spontanei, malgrado che sia affermato su di una lapide funeraria.”

Così lo descrive anche F. Guandalini nel 1949: “Qualcuno, qualche bancarellista suo concorrente poteva – come accade spesso per la fatale legge del 'mors tua vita mea' – tirare un sospirone, risparmiarsi il ben noto 'l'è arivè lò, a psan srer butaiga'; ma non fu così, chè gli stessi colleghi delle bancarelle lo piansero, e s'avvidero anzi che lui, il mago, era un fattore così importante della vita della Piazzola, un 'augello' di richiamo così benefico per tutta la famiglia dei venditori, che per un certo tempo si credette che la Piazzola avesse perduto molto del suo mordente e fosse nientemeno in declino il suo movimento d'affari. (…) Forse la domenica apprsso, i compratori del sabato riguardando gli aggeggi che avevano acquistato dal Ragni, erano un po' perplessi, un po' delusi; ma l'umorismo di cui erano pervasi, che dilagava per le strade, nelle case e nei casolari, era impagabile, e ce ne fossero in ogni tempo e in ogni luogo dei Ragni a sciogliere i crucci e per gli affari claudicanti, e per la politica astiosa, e per le mille avversità della vita che egli sapeva tradurre in un cordiale buono per tutti i palati e per tutti gli stomaci! (…) Un giorno scovò una partita di ventun barili di aringhe ferma ad Imola: lui fa il colpo, compra tutto, e per un paio di settimane nessun pizzicagnolo vende un'aringa, mentre lui ne fa uno smercio trionfale fino ad esaurimento. Poi furono di turno alcune casse di sapone che presentò alla sua folla con modo singolare: 'Ve' – esciamo – com a si brott! An v'si brisa lavè, o aviv druvè dal savòn piz che la pegia?... Ai pinsarò me: ecco què al savon sicche, e par puch gobbi'. Fu poi la volta di uno stok di coperte: ' que si stà deinter al marè la spousa e anch l'amig dla spousa!'. Un altro venerdì furono di turno le maglie: 'Dal volt a dsi: è mort Piron. L'ha lasà mujer e quater ragazu... Sicuro a jè vgnò una polmonite e al Sgnòur el s'lè tolt: - Mo vliv dir che a psàdi esser pio ignurant? Se invezi ed sugars al sudòur adoss, l'avess avò una maja cum'è quasta... Piron an mureva brisa!'. Ogni sabato diverso l'rticolo e diversa la concione: ogni sabato carico di biroccio in arrivo e vuoto alla partenza, e tutto questo con ritmo dinamico e sbrigativo. Si ricorda che un giorno il Ragni mosso a compassione dall'aria scornata di un collega che nulla aveva venduto delle sue mercanzie, finito il suo smercio battè la mano sul capo del collega e: 'va' là, sta bòn, a t'la vènd me la tò roba – gli disse – Te, bàda a incassar i gobbi'. E in quattro e quattr'otto, due squilli di tromba, due barzellette, una zirudella, e il banchetto fu spazzato con immaginabile commozione del beneficiato”.