Orsoni Arturo

Orsoni Arturo

16 Febbraio 1867 - 6 Luglio 1928

Note sintetiche

Scheda

Arturo Augusto Vincenzo Orsoni nasce a Vedrana di Budrio il 16 febbraio 1867, ore 4 a.m., in casa Orsoni N. 221, da Ludovico Ignazio (1820-1900), fabbro ferraio, e da Emilia Righetti (1831-1913). E’ il decimo di tredici figli: cinque muoiono in tenera età; quattro sorelle entrano tra le Visitandine dell’Immacolata (ordine religioso fondato dal parroco di Vedrana, don Giuseppe Codicè), l’altro fratello, Alessandro, professore di musica, muore giovane, nel 1892.

L’istruzione elementare, Arturo la completa a Budrio: nell’archivio dell’Accademia di Belle Arti di Bologna si conservano due pagelle: della 2a e 3a elementare: promozione con 29/30 e 30/30. Non si conosce la sua formazione scolastica superiore, dopo la quale si iscrive al Regio Istituto di Belle Arti nell’anno 1886-87. Premessa all’iscrizione, un certificato rilasciato dal Sindaco di Budrio (25 settembre 1886): “il giovane Orsoni Arturo di Lodovico d’anni 19 studente nato e domiciliato in Vedrana di questo Comune ha sempre tenuto una condotta plausibile sotto ogni rapporto morale e civile”. Agli Atti anche un’altra attestazione del Sindaco (9 novembre 1890) che Orsoni Arturo è nulla tenente. (Negli “Stato delle anime “ della parrocchia di Vedrana, il padre Ludovico è detto “fabbro ferraio” con “casa propria” e “possidente”).

Arturo supera i tre anni del corso comune con ottimi risultati in tutte le discipline previste: teoria delle ombre, architettura, prospettiva, ornato, figura di rilievo, figura ornamentale, storia, anatomia. Nei quattro anni successivi, dal 1889 al 1893, è iscritto al corso di scultura: ottimi i risultati anche nella specializzazione. Nel 1894 vince il prestigioso concorso Curlandese che, quell’anno, aveva per tema “La fucilazione di Gioacchino Murat”. Nel 1895 ottiene l’approvazione del bozzetto per il bassorilievo, posto sul secondo livello della scalea della Montagnola, dal titolo “La distruzione del Castello di Galliera”.

Rimane legato all’ambiente dell’Accademia. E’ particolarmente stimato dal professore di ornato Silvio Gordini (Russi 1849 - 1937), che a Orsoni affida parte dei decori della bandiera d’onore che Bologna offrì a Torino per i cinquant’anni dello Statuto Albertino. E’ anche pensabile che, per la mediazione di Gordini, amico di Alfredo Benni e insieme a Orsoni progettista e decoratore di Villa Benni in via Saragozza a Bologna, sia stata affidata proprio a Orsoni la Pietà della Cella Benni nel Chiostro VI della Certosa. Con i professori Rubbiani, Gordini, Dagnini frequenta la bottega degli argentieri Zanetti, dove lavora Enea Stefani. E’ membro della Società di artisti “Francesco Francia”; non figura tra i soci fondatori, ma è inserito nell’albo d’oro degli iscritti. Non partecipa tuttavia alle esposizioni di Belle Arti promosse, negli anni 1898-1922, dalla Società. Molta della sua opera è legata alla ditta dei marmisti Venturi, ditta che, nel 1889, Arturo Orsoni rappresenta a Caracas (Venezuela). Giulio Scaramelli Gentili, nella commemorazione dell’amico da poco morto (1928), ricorda quel momento non facile: “I tempi erano (anche più di oggi) difficili per i giovani artisti specialmente, ed egli come tanti altri dovette industrializzare la propria arte. Si recò per questo nel 1899 in America a rappresentare un’importante ditta della nostra Città. Fu quello certo il momento più angoscioso della sua vita d’artista; e quantunque in quelle lontane terre non restasse gran tempo, pure giunse a farsi apprezzare ed a meritare, si può dire con sicurezza, una distinzione onorifica” (il titolo di “Cavaliere”). Nel luglio del 1900 concorre al bozzetto per il monumento che Bologna vuole dedicare a Garibaldi; vincitore risulta Arnaldo Zocchi.

Negli anni 1908-1909, Arturo è ancora registrato residente a Vedrana, insieme alla madre e alla sorella Virginia, vedova di Ronchi Enrico, e con il figlio di questa sorella, Carlo. Lo studio di Arturo è a Bologna. Il 24 giugno 1924 sposa Elisa Boschetti, vedova di Domenico Degli Esposti Alianti. Abitano a Bologna, in via degli Angeli 26. Qui muore, dopo malattia, il 6 luglio 1928, ore 4 a.m.. Le esequie, con trasporto di prima classe e messa esequiale ugualmente di prima classe, nella parrocchia dei SS. Giuseppe e Ignazio; la sepoltura a Vedrana, il giorno 7 luglio. Molto scarse le notizie documentarie sulla vita del nostro autore e oggi, ormai, non abbiamo neppure la possibilità di attingere a quelle dei testimoni. Siamo più fortunati sulla sua opera di scultore: le opere, non tutte, gli sopravvivono e ancora possiamo ammirarle. A cominciare da quelle vicine. A Budrio: il monumento ai caduti della prima guerra mondiale (1925); il portale in cotto della chiesa di S. Maria del Borgo (1910) e, all’interno della stessa chiesa, gli angeli sull’arco che introduce alla cappella maggiore (1910); il leoncino che regge lo stemma cittadino posto all’inizio della scalinata all’ingresso del palazzo comunale (1906); nella chiesa di San Lorenzo, i busti marmorei di p. M. Casimiro Ubaldo Cinti (1918) e di mons. Pellegrino Stagni (1924); busti marmorei in collezione privata e, con buona probabilità, una serie di busti in gesso di personaggi della famiglia Cocchi custoditi nel Torrione del Risorgimento e nei depositi della pinacoteca. A Vedrana, nella pieve: le lapidi ai caduti della prima guerra mondiale (1920) e quella in memoria di don Giuseppe Codicé (1925) a lato dell’altare di San Luigi. A Baricella (1923), a Bentivoglio (1923-24), a S. Giorgio di Piano (1922) i monumenti ai caduti. Purtroppo i monumenti di Bentivoglio e di S. Giorgio di Piano sono stati privati delle statue di coronamento per farne armi: a Bentivoglio, una figura coronata con nelle mani i simboli dell’eternità (quercia) e della gloria (alloro); a S. Giorgio di Piano, una Vittoria alata. A questi monumenti va aggiunta la lapide posta nel cortile di Palazzo d’Accursio a Bologna a ricordo dei dipendenti comunali caduti in guerra (1924).

Gran parte dell’opera di Orsoni è a Bologna. Oltre al già ricordato bassorilievo della Montagnola e alla lapide di Palazzo d’Accursio, nella chiesa cattedrale di San Pietro, quattro interventi: 1910, il restauro del Compianto su Cristo morto, opera di Alfonso Lombardi (1518-1519): il Cristo morto fu quasi completamente rifatto da Orsoni, come il braccio sinistro della Madonna; la lapide “Madonna del Popolo” (1902); il monumento funebre al card. Giorgio Gusmini (1922); il medaglione bronzeo dedicato al card. Domenico Svampa (1914). I battisteri nelle chiese della SS. Trinità in via S. Stefano (1921); di S. Giovanni Battista dei Celestini in via d’Azeglio (1921); di San Giovanni in Monte (1918). Nella chiesa di S. Maria della Carità, in via S. Felice, una cattedra marmorea (rimossa dalla chiesa, in parte è ricomposta sul retro della chiesa). Nel tempio del S. Cuore (Via Matteotti), tre statue (S. Cuore, S. Caterina Vigri, S. Margherita M. Alacoque), disperse dopo il rifacimento dell’altare maggiore nel 1938. Dello stesso stile sono diciannove statue poste sulla facciata della chiesa del S. Cuore in Prati (Roma, Lungotevere): la chiesa, di stile gotico, è opera dell’architetto bolognese Giuseppe Gualandi; le statue, di Arturo Orsoni.

Molto dell’opera di Orsoni scultore è nella Certosa di Bologna: una ventina tra medaglioni, statue a tutto tondo, bassorilievi, in marmo o in bronzo. Alcune opere sono riconducibili alla tradizione cimiteriale più nota per lo stile e per i contenuti: la Pietà della cella Benni, la Pietà della cappella Sassoli, il grande Crocifisso della tomba Colombini, il medaglione bronzeo sul sarcofago Lolli, la figura simbolica della tomba Giberti; altre si avvicinano, ma senza eccessi, allo stile liberty: tombe Bormida, Nannetti, Mascheroni, stele Poggi; vicini a questo stile sono gli angeli più volte replicati, e non solo nella Certosa bolognese: l’Angelo della risurrezione del tempietto Franco, delle tombe Pastore, di Alma Castaldini, Sarti Orsi, Torresan, Cenciatti Lucarelli; motivi floreali e ritrattistica nelle tombe Melloni, Moschetti; notevole per evidenza plastica la Maddalena in bronzo e a tutto tondo della tomba Modoni. Il realismo domina nella tomba Bordoli: il soldato disteso sul letto funebre. Celebrazione della borghesia imprenditrice è la tomba Malmusi, fondatore dell’industria produttrice di stearina e glicerina alla base delle Saponerie Panigal. Una Pietà, delle tre da lui realizzate, è nel cimitero di Imola (Tomba Taroni). I lavori per la Certosa sono frutto dei suoi legami con l’Accademia delle Belle Arti e con la ditta dei marmisti Venturi. Nel passato, all’Accademia erano stati concessi forti poteri di controllo sulle opere da realizzarsi nel cimitero pubblico; dall’Accademia venivano gli autori di molte opere realizzate in quello che è definito “un museo a cielo aperto”. Un tempo tombe vistose, opere di artisti, erano riservate a re, principi, papi, nobili…; con l’emergere della borghesia nella vita economica e politica, la borghesia volle conservare memoria di sé e delle sue virtù anche con tombe importanti. Questo avvenne dal secondo decennio del 1800 fino alla prima guerra mondiale, quando, alla celebrazione del singolo anche nella morte, si sostituì il ricordo dei tanti morti della guerra con i cimiteri di guerra, i parchi della rimembranza, i monumenti ai caduti. Il legame di Orsoni con la ditta Venturi produsse opere in Italia e all’estero (a Caracas la ditta Venturi aveva una filiale). I modelli prodotti dall’artista entravano nel catalogo della ditta, che li proponeva ai clienti, pronta a replicarli e adattarli alle richieste dei clienti. Alcuni puristi sostenitori dell’opera d’arte come fatto unico originale e irripetibile esprimono riserve per quest’operazione commerciale; altri ne sostengono la validità come veicolo per la diffusione del gusto.

Le opere di Orsoni rivelano la sua formazione accademica; risentono del realismo ottocentesco, ma colgono anche il soffio effimero del liberty e della società ottimista di fine Ottocento–inizio Novecento, per ritornare, dopo la tragedia della guerra, a pensieri più meditati. Mancano, di Orsoni, opere complesse; prevalgono figure singole, emozioni isolate e frammentate che non interagiscono e non si confrontano se non con chi le osserva e rileva la precisione del buon artista. Momenti significativi della sua arte sono i ritratti: sempre curati, capaci di cogliere nel volto e nella postura elementi distintivi del personaggio.
Nell’opera di Orsoni prevalgono i buoni sentimenti, fortemente segnati dalla religiosità popolare, specie nelle opere destinate alle chiese, tanto da essere definito, alla sua morte, “un artista cristiano” (“L’Avvenire d’Italia” 7 luglio 1928). Arturo Orsoni: un autore spesso dimenticato, accanto ad altri più pubblici e celebrati: Diego Sarti, Silvio Gordini, Pasquale Rizzoli, Tullo Golfarelli, Mario Sarto, Enrico Barberi… La riservatezza (significativo anche il fatto che diverse sue opere non siano firmate), la mancanza dei materiali del suo studio, materiali dispersi alla sua morte e non rintacciabili, l’assenza di scritti suoi, il silenzio proprio delle chiese e dei cimiteri l’hanno collocato (e mi pare sia stato lui il primo a mettersi in questa posizione) ai margini dell’attenzione. Mancano studi su di lui, che pure resta una tessera da inserire nel mosaico culturale bolognese di fine Ottocento–inizio Novecento utile a capire meglio la nostra storia.

Vincenzo Favaro

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Orsoni Arturo
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Vincenzo Favaro, Arturo Orsoni (1867 1928), note e bibliografia del profilo biografico. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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Giulia Gallerani, Arturo Orsoni (1867 - 1928), profilo biografico. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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Giulio Ricci, Gaetano Lodi. Dalla rivista "Il Comune di Bologna" - marzo 1932. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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Angelo Raule, La Certosa di Bologna - Guida; Nanni, Bologna, 1961, INDICE DEI NOMI.