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Monumento di Tarsizio Rivieri Folesani

1801

Schede

Il monumento è dedicato a Tarsizio Rivieri Folesani (Bologna, 1758 - 1801), docente di Anatomia e Ostetricia presso l’università bolognese. Vasta fu la sua attività specialistica e tale fu la fama raggiunta in città che la Commissione di Sanità, di cui Tarsizio Riviera faceva parte, volle commemorarlo facendo erigere il monumento nel Cimitero, inaugurato appena un mese prima proprio su loro decisione.
Il dipinto, realizzato da Flaminio Minozzi, fu così il primo monumento funebre del Cimitero. Una piramide con un accesso chiuso dalla lapide dedicatoria è un chiaro richiamo alla Piramide Cestia di Roma oltre ad essere uno dei tanti simboli egizi usati dalla cultura massonica dell'epoca. Sulla sommità della porta è seduta una figura femminile rappresentante la Medicina. La tomba è inserita in uno spazio aperto ove sullo sfondo sono visibili file di cipressi. Quest’opera divenne uno dei modelli per le realizzazioni successive effettuate con la stessa tecnica esecutiva, mentre a partire dal 1815 si cominceranno a costruire monumenti scultorei in gesso e successivamente in marmo. Il testo della lapide latina venne dettato dal canonico Filippo Schiassi. Riportiamo un brano tratto dalle descrizione del monumento inclusa nella Collezione scelta dei Monumenti Sepolcrali del Comune Cimitero di Bologna. edita da Natale Salvardi nel 1825. “...La Commissione Dipartimentale di Sanità per decreto donò alla memoria del benemerito suo Presidente e a proprie spese ordinò il primo Monumento che nel comunal Cimitero di Bologna si ebbe ad erigere dopo la sua fondazione avvenuta il dì 15 aprile 1801. L'invenzione e la dipintura è opera di Flaminio Minozzi Ornatista”.

Roberto Martorelli

Sulla tomba, quale accumulatore di memoria e di identità, viene a declinarsi la simbologia, una delle forme del complesso rapporto della cultura ottocentesca con la tradizione giudaico-cristiana e le culture classiche e orientali; un rapporto non sempre diretto, ma spesso mediato da precedenti letture dell’antico e da complesse elaborazioni filosofico-esoteriche. Nel XIX secolo, la progressiva “messa a fuoco dell’antichità” non elimina totalmente quella mobilità di idee e di forme, quelle contaminazioni e quei fraintendimenti che attivano i meccanismi di sopravvivenza e oblio, di persistenza e latenza di ogni rapporto fecondo con un passato reinterpretato in funzione del presente. Così è anche per il monumento a Tarsizio Riviera dove accanto a segni prettamente cristiani come il Crisma (XP) e l’Alfa e l’Omega, troviamo simboli di derivazione classica. Tra questi vi è il cipresso, l’albero funebre per eccellenza, non solo simbolicamente ma anche come presenza fisica. Nella cultura classica è legato agli dei degli inferi ed è ugualmente consacrato al dio Mitra che sarebbe nato proprio in quest’albero. Ovidio (Metamorfosi, X 106-142) racconta la storia di Cyparissus: inconsolabile per aver accidentalmente ucciso un cervo a cui era legato da profonda amicizia, chiede agli dei che il suo lutto sia eterno, e viene così trasformato in un albero di lunga vita che Apollo consacra ad essere il simbolo del dolore generato dalla morte, il cipresso appunto. Il suo legame con il mondo dei morti è probabilmente dovuto alla sua natura sempreverde, alla sua eccezionale longevità e alla resinosità del suo legno, considerato imputrescibile. Se queste caratteristiche ne fanno un simbolo d’immortalità, esso è associabile alla morte poiché il suo tronco una volta tagliato non possiede la capacità di gettare polloni dalla sua radice. Oltre alla piramide, che condensa su di sé secoli di letture e interpretazioni religiose, filosofiche ed esoterico-massoniche, la simbologia direttamente legata alla sfera funeraria è costituita dal teschio con i femori incrociati (oggi non visibili) posizionato sotto la lapide e, sopra quest’ultima, la clessidra alata decorata da due fiaccole rovesciate. Attributo della personificazione del tempo, la clessidra indica l’ineluttabile avanzamento della vita e il suo inevitabile concludersi nella morte. Il movimento della sabbia contenuto nella clessidra è un movimento verso il basso e può ben simboleggiare il ritorno dell’uomo alla terra. Come spesso accade nella simbologia non solo funeraria del XIX secolo, la clessidra è rappresentata con le ali, simbolo del movimento e del cambiamento di stato: alati sono i piedi di Mercurio, accompagnatore delle anime dei morti; hanno le ali i demoni e gli angeli, così come i gemelli Hypnos (il sonno) e Thanathos (la morte). Inoltre quest’ultimo è spesso rappresentato come un fanciullo reggente una fiaccola rovesciata, indicante la fine della vita. Strettamente legata all’identità del defunto e alla sua professione è invece la personificazione della medicina che, come proposta nella seicentesca Iconologia di Cesare Ripa, è rappresentata da una donna coronata, avente come attributi il gallo, simbolo della vigilanza (qui l’animale non è posto sulla mano destra, dove è invece sostituito da una coppa), e la verga di Esculapio, attributo delle scienze medico-chimico-farmaceutiche. Nella parte inferiore della piramide erano rappresentati gli strumenti del chirurgo e due leoni accovacciati, oggi scomparsi.

Gian Marco Vidor

Testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009.