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Monumento di Petronio Buratti

monumento composito 1818

Schede

Il monumento sepolcrale a Petronio Buratti è l’unico, tra quelli realizzati da Giovanni Putti, ad essere firmato e datato dal’autore. L’opera fu commissionata a Putti nel 1817 dai fratelli Antonio, Giovanni e Pietro Buratti figli del dedicatario, scomparso l’8 novembre 1816. I bozzetti in creta modellati da Giovanni Putti per i monumenti Buratti e Barbieri Mattioli furono inviati all’Accademia dal senatore Scarselli il 15 aprile 1818, affinché fossero esaminati, e il 6 maggio il prosegretario dell’Accademia Marconi rispose comunicando l’autorizzazione ad eseguire entrambi i progetti. Relativamente al bozzetto per il monumento Buratti, Marconi riferì al senatore: «la Commissione apposita trova buono il pensiero e si lusinga che nell’esecuzione riusciranno belle anche le modinature della Cassa, che qui l’Autore ha abbozzato con trascuratezza» (1). Puntualizzazioni queste che ricorrono nelle relazioni dei commissari accademici relative ai bozzetti eseguiti da Putti e che confermano il contrastato rapporto tra l’Accademia e il Nostro, indubbiamente più interessato ad un virtuosismo tecnico coincidente con una personale esuberanza espressiva piuttosto che all’adesione a pedissequi ed impersonali “modi accademici”.

L’opera sepolcrale ideata da Giovanni Putti per Petronio Buratti, mecenate d’arte e «Magistrato Municipale» al Liceo Comunale di Musica, nonché autore di «classiche composizioni musicali» (2), risulta di grande impatto visivo e, al contempo, curatissimo in tutte le sue parti: nelle modanature del grandioso e massiccio sarcofago, nelle particolareggiate, naturalistiche teste barbute che fungono da acroteri e nei drappi che scendono ai lati del sarcofago e, in particolar modo, nella inquietante Allegoria del Tempo. La maestosa figura, assisa sopra al sarcofago, sprigiona vigore ed energia dalla postura scattante e dalle ampie ali pronte al volo, dall’impressionante falce e dalla clessidra mostrata quasi a monito della caducità della vita terrena ma, soprattutto, dal volto corrugato e furente, non meno che dalla ossianica barba minuziosamente descritta. È nella straordinaria espressività del vegliardo e, in specie, nella sua barba scomposta, il cui movimento dà vigore e terribilità all’intero monumento, che lo scultore riprese quasi alla lettera la sublime figura del Profeta Ezechiele di Giacomo Rossi (che era stato professore di Putti all’Accademia di Bologna), ponendosi quale continuatore ottocentesco di quelle precoci poetiche preromantiche che, volgendo la tradizione tardo barocca felsinea nel segno del sublime, avevano mostrato un peculiare allineamento con le più aggiornate istanze artistico-letterarie di raggio europeo, ma troppo presto erano state sopraffatte da incalzanti e più pacate iconografie neoclassiche. Realizzato senza l’ausilio di una preliminare elaborazione progettuale da parte di un architetto, il monumneto Buratti rivela le caratteristiche salienti della poetica e dello stile del suo autore, quali il pathos delle figure e l’ampio gestire di marca neobarocca.

Emanuela Bagattoni

(1) Lettera del prosegretario dell’Accademia Leandro Marconi al senatore Cesare Alessandro Scarselli, 6 maggio 1818 (Bologna, Archivio Storico Comunale, Carteggio amministrativo, Titolo XV, Rubrica 2, anno 1818). (2) Salvardi, 1839. I Buratti, commercianti di origine veneziana, erano una delle famiglie più rappresentative di quella borghesia arricchitasi ed acculturatasi che, fin dalla seconda metà del XVIII secolo, alla pari della nobiltà era divenuta protagonista di importanti commissioni d’arte.