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Il triennio giacobino e l'età napoleonica a Bologna

19 giugno 1796 | 8 maggio 1814

Schede

La tranquilla sonnolenza in cui giaceva la Bologna prenapoleonica è quasi diventata uno stereotipo. In realtà le idee di Francia circolavano diffusamente in città già di vario tempo. Il recente piano di riforma economica e fiscale di Pio VI, promosso a Bologna dal cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi, sebbene fosse improntato all’illuminismo riformatore, aveva alienato definitivamente gli animi dei senatori bolognesi. L’antico spirito repubblicano, ridestatosi e combinandosi con le nuove idee, aveva dato vita nel 1794 al progetto di Luigi Zamboni e Giambattista De Rolandis di rovesciare il governo papale. E’ in questa situazione che, la notte tra il 19 e il 20 giugno 1796 – due giorni dopo le avanguardie francesi – il generale Napoleone Bonaparte, comandante dell’Armata francese in Italia, entrò a Bologna.

A differenza del Direttorio, che considerava la conquista dei territori italiani utile soltanto per trattare con l’Austria da posizione di forza, egli volle dare alla conquista un esito politico: la creazione in Italia di repubbliche alleate, dipendenti direttamente da lui e di cui servirsi per costruire le proprie fortune politiche. Così, il giorno successivo al suo arrivo, dopo avere congedato duramente il cardinale legato, rappresentante del potere pontificio, Bonaparte dichiarò solennemente ai senatori bolognesi di volere restituire alla città la sua antica libertà. Ben presto i migliori giuristi dello Studio bolognese si misero al lavoro per dare adeguata veste giuridica al nuovo stato di cose, ma il piano di Costituzione predisposto dal Senato, integrato con 42 nuovi senatori eletti dal popolo, e votato nella Chiesa di San Petronio il 4 dicembre 1796 non ebbe in realtà nessun effetto. Già due mesi prima lo stesso Bonaparte aveva fatto riunire i rappresentanti di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, in vista della creazione di una formazione politica più vasta, la Repubblica Cispadana, proclamata il 27 dicembre 1796, che fu il primo stato italiano ad adottare il tricolore come bandiera nazionale. Di questa nuova repubblica Bologna era destinata a diventare capitale, e ancora una volta fu lo stesso generale francese a disporre che la città, attraverso la risistemazione di strade, piazze e palazzi, si dotasse al più presto di grandiosi apparati di rappresentanza, e in particolare di sedi destinate al potere politico, adeguatamente ristrutturate, che “alto rispetto nel popolo imprimessero, e la più distinta considerazione”. Anche questi progetti però, avviati nei primi mesi del 1797, rimasero incompiuti. Il 27 luglio i territori della Cispadana furono annessi alla Repubblica Cisalpina, nata il 9 luglio con capitale Milano: Bologna perdeva definitivamente il suo primato, ma allo stesso tempo si apriva a nuove prospettive, particolarmente favorevoli per i ceti emergenti. Negli stessi turbinosi mesi, mentre la città assisteva alle numerose e pittoresche manifestazioni organizzate dai giacobini locali, Napoleone consolidava l’alleanza con l’antica classe senatoria e con la nuova borghesia attraverso la vendita dei beni delle congregazioni religiose soppresse, che lui stesso suggerì per sanare le finanze del nuovo Stato e di cui si giovarono appunto le élites della città, che in breve tempo poterono impadronirsi di un enorme patrimonio immobiliare urbano e rurale a prezzi molto inferiori al valore reale.

La temporanea riconquista di Bologna da parte delle armate austro-russe (1799-1800) ebbe il solo risultato di fare quasi rimpiangere i Francesi, che dopo la vittoria di Marengo (14 giugno 1800) ripresero il controllo della città. Napoleone Bonaparte dopo il colpo di stato del 18 brumaio (9 novembre) era diventato il vero padrone della situazione anche in Francia, e quindi non aveva più bisogno di alleati politici nemmeno da un punto di vista formale: delle antiche libertà municipali non si parlò più e anche ai circoli giacobini locali venne lasciata ben poca libertà di manovra. Anche Bologna venne così inserita, al pari di qualunque altra città, all’interno di uno Stato fortemente centralizzato e strutturato, secondo il modello francese. Al Congresso di Lione (1802), in cui la Cisalpina assunse il nome di Repubblica Italiana, alcuni rappresentanti bolognesi svolsero un ruolo di primo piano, senza però che la città si sentisse particolarmente coinvolta. Ben altra eco suscitò invece la visita di Napoleone, divenuto ormai Imperatore (e Re d’Italia), avvenuta dal 21 al 25 giugno 1805, che si legò anche ad alcuni importanti provvedimenti, che lasciarono un segno a volte indelebile nel volto della città: il rilancio e il potenziamento dell’Università, che tra l’altro venne dotata di un’adeguata aula magna e degli orti botanico e agrario, la sistemazione idraulica del Reno, la trasformazione della Montagnola in giardino pubblico, la creazione di viali alberati attorno alle mura. Tentare un bilancio del periodo napoleonico per Bologna è impresa troppo ardua e richiederebbe comunque di distinguere tra la città, che accolse spesso in modo positivo i cambiamenti introdotti, e la campagna, che di molte novità (coscrizione obbligatoria, introduzione di criteri capitalistici nella conduzione dei terreni, passaggi di numerosi eserciti) subì soltanto i contraccolpi negativi. In ogni caso, in quegli anni vorticosi venne rotta in modo definitivo la staticità dei rapporti socio-economici precedenti, sparirono istituzioni secolari, vennero suscitati fermenti e innovazioni che non sarebbero più venuti meno, e che anzi avrebbero influenzato in misura determinante i decenni successivi.

Otello Sangiorgi