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Stefano Gobatti

05 Luglio 1852 - 17 Dicembre 1913

Scheda

Stefano Gobatti, compositore (Bergantino, Rovigo, 5-VII-1852 - Bologna, 17-XII-1913) studiò dapprima ingegneria, per dedicarsi quindi alla musica divenendo allievo di Giuseppe Busi a Bologna e di Lauro Rossi a Parma ed a Napoli. La sua prima opera I Goti, scelta come manifesto polemico dai fautori italiani della “musica dell’avvenire”, ebbe un successo straordinario che gli valse la cittadinanza onoraria di Bologna nel 1873. Ancora troppo giovane e inesperto per districarsi fra le insidie del mondo teatrale, Gobatti finì presto per soccombere sotto la pressione delle eccessive aspettative e  responsabilità che si erano concentrate su di lui. Le sue opere successive, Luce e Cordelia, tutte rappresentate in prima assoluta al Teatro Comunale di Bologna, ebbero minor successo, mentre la sua ultima opera Massias non fu mai rappresentata. Dopo 25 anni di oblìo, I Goti vennero ripresi nell’estate 1898 al Politeama D’Azeglio di Bologna e nell’inverno 1899 al Teatro Vittorio Emanuele II di Messina, poi più nulla. Ritiratosi dalle scene, si dedicò all’insegnamento del canto presso scuole elementari, passando l’ultima parte della sua vita in povertà, ospite nel convento dei Francescani dell’Osservanza di Bologna.

Luce fu un’opera particolarmente sfortunata: su essa si concentrarono le aspettative eccessive del pubblico dopo il successo trionfale dei Goti. L’opera ebbe un’accoglienza contrastata e sparì quasi subito dalle scene dopo un fiasco clamoroso alla Scala, si dice pilotato da ambienti filoverdiani. Molto difficile esprimere un giudizio oggi, in quanto è conservato integralmente solo lo spartito pianistico mentre la partitura orchestrale presente all’Archivio Ricordi è largamente incompleta. Una parafrasi dell’Aria “Amo La Rondinella” da Luce, per pianoforte, fu pubblicata da Galileo Tassetti con il titolo Capriccio. Stefano Gobatti scrisse il Massias tra il 1905 e il 1912, mosso dall'intima esigenza di esprimere il suo mondo interiore attraverso il linguaggio artistico della musica, che gli era congeniale, attratto anche dalla delicata storia del trovatore gallego Massias, vissuto intorno alla metà del XII secolo.  Molte persone assai influenti si interessarono per portare sulle scene la nuova opera di Gobatti, già completamente strumentata, ma si scontrarono contro le diffidenze del Maestro, che era vissuto troppo appartato per rientrare nella vita tumultuosa del teatro. Quei pochi che poterono privatamente ascoltare la musica di Massias, assicuravano che essa era veramente bella e che costituiva, senza dubbio, il testamento spirituale del Maestro.

In occasione del centesimo anniversario della sua morte, è stata scoperta una lapide commemorativa sulla facciata della casa dove Gobatti abitò, in Via Mascarella 13. Il testo della lapida è il seguente: “In questa casa abitò / dal 1870 al 1877 / il compositore Stefano Gobatti (1852-1913) / cittadino onorario bolognese / e qui compose l’opera I Goti / acclamata nei maggiori teatri d’Italia / Nel centenario della morte / Bologna 2013”

Luigi Verdi

Così il celebre commediografo Alfredo Testoni ricorda in "Bologna che scompare", edito da Zanichelli nel 1905, il clamoroso successo de I Goti di Stefano Gobatti. "La notizia apparsa nella cronaca dell'Ancora a metà d'ottobre, che cioè non si sarebbero più dati I Goti, era vera. L'impresa aveva trovato mille difficoltà a mettere in scena quest'opera e, ad onta delle seimila lire che il Gobatti aveva sborsato, si era decisa a non fare più nulla. (...) Il 20 novembre apparve, finalmente, nella cronaca dei giornali l'annunzio che quanto prima si sarebbero eseguiti I Goti di stefano Gobatti. (...) Il successo, tutti lo sanno, fu entusiastico. (...) Fu una serata memoranda, indimenticabile per chi vi assistette. I vecchi, scriveva il Panzacchi, ricordano appena entusiasmi come quelli. Golinelli, l'eletto compositore di musica e professore di piano, era giubilante, Tofano, pallido come un morto, applaudiva dai palchi e pei corridoi, Braga, il celebre violoncellista, dalla barcaccia strillava in italiano, in francese, in abbruzzese parole tronche di emozione, Rubinstein da un palco di primo ordine rasserenava a quando a quando la sua fisionomia beethoveniana e s'univa al gran coro dei paludenti... Si volle riudire per tre volte il preludio, il finale del primo atto; (...) finita l'opera... il Gobatti cascò fra le braccia dell'Interdonato, non si sa se più commosso per il successo o stanco per le cinquantuna chiamate alla ribalta! Da quel momento Bologna fu invasa veramente, tutta quanta invasa da I Goti. (...) Quelli che non potevano stringergli la mano scrivevano col lapis sul muro il loro nome e cognome con certi "Viva Gobatti" e certi punti esclamativi da occupare mezza parete! (...) L'incasso dell'ultima serata, che fu di L. 6779.56, parve a quei tempi leggendario; fu superato però da quello della prima rappresentazione della Luce, la nuova opera del Gobatti, data il 25 novembre 1875, che fu di L. 7166. La Luce non ebbe tuttavia il successo sperato da tutti."

I funerali del maestro Stefano Gobatti (discorso dell’assessore Conte Bosdari, ne Il Resto del Carlino del 20 dicembre 1913) “Pomeriggio di piombo: greve, triste, freddo. Non irruzione di folla su, al San Michele in Bosco. I parenti, i fervidi amici della prima e dell’ultima ora, qualche pietosa figura femminile, i bambini che il maestro addestrava al canto, cinque o sei bandiere, cinque o sei corone di fiori freschi. (...) Molte lacrime e nessuna armonia. Ché la mancanza di cappotti impermeabili dei musicanti della Banda cittadina tolse alla cerimonia del trasporto funebre di un musicista fin il conforto di pochi inni funebri. E in quella grigia caligine, dinanzi al modesto corteo, sarebbero state così appropriate le note della Marcia dei Goti. Nulla... nulla... tal morì... qual visse. E pensare che proprio nello stesso giorno, 19 dicembre, quarant’anni prima, Bologna, in uno slancio di entusiasmo, gli aveva decretato la cittadinanza onoraria! oggi il Comune di Bologna tributa a lui i secondi e purtroppo ultimi onori, accompagnandone il mesto corteo e inviandogli, per mia bocca, l’estremo saluto.... Non sta a me giudicare se fu vera gloria quella del Gobatti. Certamente oggi é triste per me, quale rappresentante del Comune, salutare la salma di un uomo che ebbe per un momento la visione della celebrità e che pagò il resto della sua vita a sognare il ritorno e a lottare contro un’esistenza infelice. Si pensi che il Carducci e il Panzacchi ne celebrarono, da pari loro, il valore di artista. Il Gobatti, a vent’anni, arrivò dal Polesine in questo ambiente di lotte feconde e discussioni sul nuovo indirizzo che l’arte musicale andava assumendo per l’influenza germanica e l’opera sua apparve quale affermazione di un’arte nuova per l’Italia. Oggi l’opera sua è dimenticata: mi auguro che possa essere rievocata, malgrado che il pubblico sia sempre desideroso di novità. Ma il saluto che io mi onoro di dare alla memoria di Stefano Gobatti è saluto di gratitudine e di ammirazione. Riposa in pace, o Stefano Gobatti, e trova nella morte quella vita migliore che invano sognasti nella tua travagliata esistenza”.