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Fuori alla Certosa di Bologna

1879-1893

Schede

«Io credo che nell'elegia pubblicata dal “Fanfulla” domenicale Ella avrà riconosciuto il paesaggio e la situazione. Mi perdona almeno l'ardire di averla rappresentata nel paesaggio?», così Giosue Carducci (1835-1907), il 30 novembre 1879, si schermiva con colei che già era entrata a fare parte dell'officina dei suoi versi 'barbari', con la signora Adele Bergamini. L'elegia in questione è l'ode in distici di esametro e pentametro dal titolo Fuori alla Certosa di Bologna, appena pubblicata, il 23 del mese, sulle pagine dell'illustre periodico diretto dall'amico Ferdinando Martini.

La scrittrice e giornalista romana (1845-1925) era venuta infatti a Bologna quel '79, in un giorno «bello e superbo d'agosto», per sottoporre alcuni suoi componimenti al vaglio di Carducci che con entusiasmo l'aveva accompagnata in un tour per la città d'arte, approdando in fine con lei nel luogo in cui ogni colto visitatore, di passaggio a Bologna, non avrebbe mancato di sostare, nel rinomato 'museo' della Certosa. Ed è proprio dalla visita a questo paesaggio monumentale che trae ispirazione l'elegia sulla «grande città dei morti», in cui Adele nelle vesti di Delia, la donna amata da Tibullo (e prima ancora di Cintia, nella redazione primitiva dell'ode), mentre «zefiro» spira «pio» dal Colle della Guardia agitando il candido velo che l'avvolge e muove le «nera anella» sulla «superba fronte», è invitata da Giosue ad ascoltare e, dunque, ad amare la voce di chi riposa sotterra. Sono le stirpi legate a un passato remoto e glorioso («Dormon a' piè qui del colle gli avi umbri che ruppero primi» e, dopo questi, gli Etruschi, come avevano peraltro messo in luce gli scavi archeologici avviati nella Certosa fin dal 1869, quindi i Galli e poi i Romani, da ultimo i Longobardi), secondo un excursus storico in cui Carducci fa propri i risultati delle ricerche e delle scoperte dell'archeologo Edoardo Brizio e dello studioso Francesco Bertolini, entrambi suoi colleghi all'Alma Mater.

Eppure la Certosa non è solo il monumento di virtuose civiltà trascorse, ma rappresenta anche il sacrario di memorie più recenti e degli affetti privati. I popoli antichi così vi «dormon con gli ultimi nostri» - recita il verso 27 dell'ode, dove, Carducci, insieme con gli scrittori e gli scienziati bolognesi degli ultimi secoli, con i patrioti e i combattenti cittadini delle guerre di indipendenza, forse intende ricordare, giusta il suggerimento di Manara Valgimigli, persone a lui particolarmente care come la madre Ildegonda e il piccolo figlioletto Dante, scomparsi ambedue nel 1870.

Le carte autografe contenute nel fascicolo Presso la Certosa di Bologna (Casa Carducci, Mss., cart. II, 99) testimoniano l'iter di correzioni e rifacimenti cui furono sottoposti i versi fino all'edizione definitiva in Delle odi barbare, Bologna, Zanichelli, 1893.

Simonetta Santucci

Testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), 'La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia', catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009.