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Epigrafi di Maddalena Brunini e di Giuseppe Sarti

1801

Schede

Nei due pilastri del Chiostro Terzo corrispondenti al varco verso il Chiostro V o Maggiore sono murate due lapidi con una breve epigrafe latina. Ambedue datate all’aprile del 1801 ci informano che Maddalena Brunini, tessitrice, morì a cinquantatré anni, mentre Giuseppe Sarti, fornaio, abbandonò il mondo dei vivi a cinquanta anni. Le due memorie furono collocate dal Municipio in ricordo dei due primi bolognesi sepolti nella Certosa dopo l’inaugurazione del camposanto, poiché nulla rimase delle sepolture originarie. In effetti le due salme erano collocate poco distante, nel recinto V e, come rimase in uso molto a lungo, per le sepolture a terra non era previsto alcun segno esteriore, essendo vietata di fatto la posa di lapidi e ricordi voluminosi. Illuminante in tal senso il resoconto tratto dai ricordi di Francesco Majani, il quale nel suo Diario delle cose principali... ricorda come nel 1849 chiese lo spostamento della salma della moglie di suo zio Sebastiano sepolta nel prato fra le altre donne. Proseguendo nel racconto scrive come andai dunque la mattina presto alla Certosa, andassimo nell'Archivio a vedere dove doveva essere, Subito due o trè vuomini chiamati li Fossini andarono a fare la bucca a quel numero della pietra che era piantata la in mezzo a quel prato, (...) Ma si Signore; che non sbagliarono un ette, e così viddi che tengano li suoj Registri veramente con esattezza.
Le tumulazioni per le persone indigenti che non potevano permettersi una tomba perpetua, erano comunque garantite dal Municipio il quale, diversamente da quanto era successo per secoli nei cimiteri cittadini, garantiva una sepoltura dignitosa e non entro fosse comuni in cui man mano si aggiungevano i corpi, coprendoli poi con un poco di calce e di terra. Il divieto di porre lapidi veniva compensato curando le aree come giardini, in cui si seminavano fiori. I chiostri assumevano così l'aspetto di giardini curati attorniati da logge in cui si potevano ammirare decine di monumenti dipinti e scolpiti, rappresentanti la memoria della città e le novità dell'arte. Durante il periodo giacobino si rispettò alla lettera il motto francese di Libertà, Uguaglianza a Fratellanza, tanto che le sepolture venivano concesse non per i titoli acquisiti dalla 'stirpe' ma per le proprie capacità economiche, e anche nel caso di monumenti di valore artistico, questi dovevano essere dedicati al singolo defunto e non alla famiglia, imponendo di fatto l'esaltazione del ruolo attivo avuto in vita.
In questa ottica si comprende la reazione di alcuni visitatori: Jules Janin nel 1833, rimase talmente colpito da scrivere che, rispetto alla tetra città dei vivi, nella città dei morti v'è più aria, più spazio, più verde, gli archi sono più alti, le case più bianche e meglio disposte. La Certosa rifletteva così armonicamente la stratificazione sociale della città, ancora chiusa entro le mura medievali, eliminando però quei privilegi che avevano consentito al clero, ai nobili e ai loro notabili di erigere ricordi dentro le chiese, e condannato le masse a un rapido oblio.

Roberto Martorelli

Luglio 2012

Bibliografia: A. Sorbelli, Bologna negli scrittori stranieri, Bologna, Atesa, 1973; F. Majani, Cose accadute nel tempo di mia vita (a cura di A. Varni), Venezia, Marsilio, 2003. Testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009.