Compianto su Cristo morto

Compianto su Cristo morto

1620 | 1622

Scheda

Quando fu incamerata con le soppressioni napoleoniche nella nascente Pinacoteca Nazionale, questa sorprendente tela, che per esser più precisi rappresenta Cristo deposto dalla croce con la Vergine, san Giovanni Evangelista, la Maddalena, una Maria, san Gerolamo e un monaco certosino, da identificarsi probabilmente con san Bruno, proveniva dalla chiesa di San Girolamo della Certosa, esattamente dalla cappella undicesima.

Qui era stata portata nel XVIII secolo, per meglio tutelarla, dallo sperduto oratorio collinare del Figatello e già Luigi Crespi nel 1772 ebbe modo di lodarla definendola “bellissima, e diligentissima Opera, sempre al solito espressiva, ed ammirabile di Lucio Massari, tanto bene in tutte le sue parti condotta, che veramente innamora e risveglia la divozione”. Crespi mostra soddisfazione per il suo trasferimento nelle vicinanze della città, dove avrebbe potuto essere meglio contemplata. Per aver avuto la possibilità di consultare certi libri di spese del monastero, egli era già a conoscenza anche del fatto che il quadro era stato pagato il 20 aprile 1620, che era costato al monastero “lire 200” e “stimato dal Tiarini”, nonché ritoccato dallo stesso Massari due anni dopo ricevendone “per regalo Scudi cinque”. Citato nelle guide successive del 1782, del 1792 e nell’edizione riveduta dal Calvi e dal Lucchesini del Crespi del 1793, fu poi Gaetano Giordani (1826), dopo le soppressioni del 1797-1810, a riassumere le vicende della prestigiosa tela, informandoci che “Il Crespi la trovò nella Certosa […], essendovi stata trasportata da que’ Monaci, dopo che fu rovinato l’Oratorio di loro pertinenza nel luogo detto Figatello, in cui era rimasta sino allora ignota a tutti, ed anche allo stesso Malvasia, che l’avrebbe annoverata fra le più diligenti dell’autore, il quale la dipinse nell’anno 1620, e la ritoccò nel 1622”.

Sulla scorta dei documenti già rintracciati da Sara Vicini (1990) Alessandro Brogi ha infine precisato che la tela fu dipinta sotto il priorato del visitatore pavese Timoteo Baruffi (1618-1622). In base alla citata documentazione, l’opera in questione non presenta fortunatamente problemi di datazione e anzi si pone come importante punto fermo nella difficile ricostruzione cronologica dell’attività del Massari, ad apertura di quel terzo decennio del Seicento che vedrà il maestro impegnato in imprese di rilevante impegno; prima fra tutte la celebre decorazione della cappella Ariosti nella chiesa di San Paolo Maggiore a Bologna, che ruota attorno al 1625. Nel nostro quadro le figure di grandi dimensioni, inscritte in una tela sagomata a lunetta, si raccolgono tutte sulla ribalta del primo piano, nella parte inferiore e a destra, quasi costringendosi entro i bordi del dipinto. Queste lasciano alle loro spalle uno spazio che si apre su un paesaggio scarno, dominato da una croce vuota e perfettamente piallata. Si noti che i personaggi che recitano il dramma sacro sono tutti radunati come a grappolo in senso verticale, secondo una regia compositiva che lascia ai due santi a sinistra il compito di contemplare il dolore in modo silenzioso e accorato.

Bellissima nella sua lucidità ottica è la piccola natura morta ai piedi della Maddalena: il vasetto degli unguenti aperto e la corona di spine, di un sentimento quasi sivigliano. La tela presenta uno stato conservativo nel complesso buono, se si escludono alcune ridipinture nel lato destro, in particolare sul mantello di san Giovanni, nonché una fisiologica opacizzazione ed un ingiallimento delle vernici. Nonostante ciò risaltano soprattutto i rossi diversamente modulati dei manti e dei drappi che rivestono il giovane e imberbe Giovanni, la Vergine, la Maddalena e san Girolamo, nei confronti dell’esangue, livido e quasi marmoreo corpo del Cristo adagiato davanti allo spettatore. Nel suo eletto arcaismo l’opera sintetizza mirabilmente suggestioni figurative diverse: una lettura personalissima e rotonda del fare iconico e più spigoloso del Cesi maturo, il silente raccoglimento sull’evento sacro tipico di Ludovico, la solitaria meditazione sul tema del Cristo deposto proposta più volte dall’ultimo Annibale, ma con assai meno deliquio e ridotta ad una forma più sobria e chiusa, più levigata e compatta anche rispetto a quella esibita dal Domenichino, in quel tempo a Bologna; un sentimento del sacro nel contempo semplice e solenne, che già inclina verso la dolcezza severa ma per molti aspetti inquieta di certa pittura religiosa francese di ispirazione giansenista.

Lucio Massari (Bologna, 1569 - ivi, 1633), Compianto su Cristo morto, 1620/1622, tela, cm 177,5 x 145. Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 429. Provenienza: monastero della Certosa di Bologna.

Alessandro Zacchi

Dal volume Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo Generale. 3. Guido Reni e il Seicento, Venezia, 2006, pp. 28-30, n. 20. Pubblicato in Luce sulle tenebre - Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna, Bologna, 29 maggio - 11 luglio 2010. © Pinacoteca Nazionale di Bologna.

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Andrea Emiliani - La Certosa di Bologna
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Luce sulle tenebre
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Luce sulle tenebre - Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna. Video dedicato alla mostra tenutasi a Bologna nel 2010.

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Chiesa di S. Girolamo (La)
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Antonella Mampieri, Armanda Pellicciari, Roberto Martorelli; La Chiesa di S. Girolamo della Certosa di Bologna; Comune di Bologna, 2006. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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