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Domenico Maria Canuti

1626 - 6 Aprile 1684

Scheda

L’artista bolognese Domenico Maria Canuti (Bologna, 1626 - ivi, 1684) inizia la sua formazione imparando il disegno nella bottega di Giovan Battista Bertusi, con il quale rimase due anni. Successivamente studia alla scuola dell'Albani e poi del Reni, dove il Canuti resta fino alla morte del “divino” nel 1642. Dopo un breve periodo presso il Guercino, entra nello studio di Giovanni Andrea Sirani, che lascia dopo tre anni a causa di un disguido col maestro e si avvia verso un percorso autonomo. Canuti ha la fortuna di essere notato da Taddeo Pepoli, membro dell’ordine religioso Olivetano e facente parte di una delle famiglie più influenti della città felsinea, il quale prese a cura la sorte dell’artista quando era ancora adolescente. Se Domenico Maria è a Roma già molto prima del 1651, lo si deve senz’altro all’interesse che l’abate bolognese gli dedica, contribuendo così alla formazione artistica del venticinquenne che nella capitale è sotto la guida dell’Agardi e del Lanfranco. Come risaputo, a Bologna il Canuti ha modo di instradarsi alla pittura locale grazie agli insegnamenti di grandi maestri come Francesco Albani, Guido Reni, Guercino, Giovan Andrea Sirani e Giovan Francesco Gessi, ricevendo da questi i migliori insegnamenti. E’ a Roma, però, che l’artista ha la possibilità di ampliare la propria formazione classica con stimoli più moderni. Da questo soggiorno Canuti apprende la tecnica della grande decorazione ad affresco e matura il suo linguaggio artistico. L’esempio del barocco romano, però, non prevarica mai del tutto le basi ricevute a Bologna, giungendo così ad uno stile del tutto personale e ben riconoscibile.

La prima opera del Canuti trattata dalle fonti è la tela con l’Estasi di Santa Cecilia per la chiesa di Santa Maria di Valverde ad Imola, posteriore al 1651, dove se pur rispettando il modulo devozionale della pala d’altare emiliana, l’autore conferisce all’opera un’atmosfera più fresca. Dopo il rientro a Bologna (1655) arriva anche la prima commissione importante ed è così che, nel 1658, Canuti esegue la sua prima opera pubblica nella chiesa di San Girolamo alla Certosa, per volere del priore Daniele Granchio che, volendo ampliare la decorazione della chiesa, commissiona a diversi artisti un ciclo cristologico. Come ricordano le fonti, l’artista stipula un contratto il 26 febbraio 1657, dove si impegna con i monaci certosini per la realizzazione del quadro con il Giudizio Finale e due Sante laterali per la chiesa del monastero, ricevendo il compenso di Lire 800 (Crespi, 1772). L’occasione di mostrarsi per uno dei luoghi di maggiore visibilità della città, insieme al confronto con i suoi contemporanei (Elisabetta Sirani, Battesimo di Cristo, 1658 e Lorenzo Pasinelli, Entrata a Gerusalemme, 1658), offre al Canuti l’opportunità di mettere in evidenza le proprie capacità. Confrontando la tela del Giudizio con le altre dello stesso ciclo è evidente il distacco stilistico che Canuti inizia ad avere verso i colleghi bolognesi, ancora intrisi di elementi reniani, mentre in lui è già chiaro un gusto più liberamente barocco. Anche questa tela, come quella del Rossi e della Sirani, è sintomatica dell’avvedutezza culturale dei frati certosini che non si limitarono a chiamare solo gli artisti locali più alla moda ma palesano vedute più ampie.

Come da contratto Canuti realizza, per i padri certosini, anche le due tele laterali al Giudizio Finale, con la rappresentazione della Beata Margherita e della Beata Beatrice. Nelle due sante è evidente l’adesione dell’artista al linguaggio vibrante della cultura romana, che il Canuti preferisce alla pacatezza bolognese. Su commissione di Taddeo Pepoli, Canuti esegue gli affreschi per la chiesa di San Michele in Bosco a Bologna (1659 - 1660). Tra questi vi è un olio su muro con la rappresentazione di un Cristo morto portato alla sepoltura, per il quale l’artista predilige soluzioni cromatiche vivaci e contrassegnate da accesi chiaroscuri: una scelta inconsueta per il panorama bolognese dove predominano ancora le tonalità pacate della scuola reniana. Per il Canuti hanno inizio una serie di numerose committenze sia per la nobiltà che per il clero. Nel 1662 è a Mantova per affrescare il castello di Marmirolo, opere purtroppo perdute perché distrutte nel 1798. Dopo il rientro a Bologna, Canuti si reca a Padova tra il 1663 e il 1664, per lavorare alla chiesa di San Benedetto Novello (dei Padri Olivetani), dove dipinge le Storie di della vita di San Bernardo, grazie all’intercessione dell’abate Taddeo che appartiene all’ordine olivetano. Dei sette quadri che compongono il ciclo sulla vita del Santo ne sono rimasti solo due, San Bernardo Tolomei soccorre i muratori e San Bernardo Tolomei comunica gli appestati, conservati nei depositi della Pinacoteca di Padova, dove aumenta l’interesse del Canuti per gli elementi della pittura veneta, soprattutto nelle soluzioni luministiche e cromatiche. Tornato a Bologna nel 1665, Canuti è a palazzo Pepoli per affrescare due ovali sul soffitto del salone con due momenti della vita di Taddeo Pepoli. Negli episodi Canuti manifesta ancora una volta gli ardori per l’arte veneta, grazie a un uso vivace e luminoso del colore e a una stesura pittorica dalle pennellate veloci e corpose. Sempre per palazzo Pepoli tra il 1669 e il 1670, realizza il vasto affresco con l’Apoteosi di Ercole in Olimpo, dove esprime la grande decorazione veneziana nella gestione dello spazio e della profondità, con un’attenzione particolare alla scelta cromatica dai toni caldi e dorati che sembra accentuare l’atmosfera irreale e preziosa.

La conseguenza più rilevante dei lavori a palazzo Pepoli è che l’artista viene chiamato a Roma. Nel 1672, infatti, chiude la scuola e affida i suoi allievi al Pasinelli, poi si trasferisce a Roma fino al 1676 dove lavora per la famiglia Mattei e per la famiglia Colonna. Nel 1674 l’artista affresca la volta e l’abside della chiesa romana dei Santi Domenico e Sisto, concependo una rappresentazione capace di suscitare nei fedeli reazioni emotive, alludendo all’indissolubile continuità tra terra e celo. Sempre a Roma, Canuti lavora nel 1676 all’affresco dell’Apoteosi di Romolo sul soffitto di Palazzo Altieri, dove i giochi di luce si fanno sempre più intensi sulla cromia caldamente dorata del dipinto, che accarezza tutte le sfumature del giallo e del rosso. L’artista qui si confronta con una superficie molto vasta, utilizzando bene le regole prospettiche, eliminando l’affollato effetto “centrifuga”, e disponendo le figure al centro della composizione, con una soluzione più matura che lo vede seguire il cambiamento del panorama artistico capitolino. Nell’ultimo periodo il Canuti fa ritorno a Bologna nel 1677, riapre la sua scuola e inizia i lavori di decorazione per le tre sale nella biblioteca del convento di San Michele in Bosco, che finiscono nel 1680. La splendida opera è commissionata anche in questo caso dall’abate Taddeo Pepoli, per il quale Canuti lavorerà anche negli anni successivi alla cupola e all’abside per il convento olivetano (1682 – 1684), che saranno le sue ultime opere. Le fonti parlano di un Canuti solitario e cagionevole di salute già dopo il suo rientro da Roma, ma comunque operoso fino alla morte, avvenuta il 6 aprile del 1684 a Bologna.

Benedetta Campo