Salta al contenuto principale Skip to footer content

Pietro Venturi detto/a Raffaele

25 novembre 1883 - 23 maggio 1943

Scheda

Pietro Venturi, «Raffaele», da Francesco e Adele Lazzari; nato il 25 novembre 1883 a Bologna e morto a Milano il 23 maggio 1943. Licenza elementare. Operaio orafo.
Iscritto al PSI dall'inizio del secolo. Fu attivista sindacale e dirigente di partito.
Nel 1905 venne schedato dalla polizia e subì numerose condanne per avere partecipato a scioperi e manifestazioni politiche. Prese parte alla prima guerra mondiale.
Nel giugno 1919, quando l'ala massimalista divenne maggioritaria al congresso provinciale della CCdL, fu nominato segretario e prese il posto del riformista Carlo Gaviglio. Nello stesso periodo di tempo fu eletto segretario dell'USB e, per qualche tempo, resse la segreteria della federazione del PSI.
Il 4 dicembre 19 al termine di due giorni di sciopero generale, per l'uccisione di Amleto Vellani - fu destituito dalla carica di segretario della CCdL. Aveva fatto approvare dalla segreteria camerale un documento in cui si affermava che lo sciopero generale, essendo un «mezzo rivoluzionario», non poteva essere proclamato con eccessiva facilità. Restò egualmente alla CCdL come vice segretario.
Nelle amministrative del 1920 fu eletto sia al consiglio comunale di Bologna sia a quello provinciale, per il collegio di Crevalcore. Venne designato dal PSI e ricoprire la carica di assessore comunale nella seconda amministrazione socialista, la quale avrebbe dovuto insediarsi il 21 novembre 1920. In quel giorno, dopo l'elezione del sindaco Enio Gnudi, si presentò al balcone di palazzo d'Accursio con il neoeletto per salutare la folla. Nello stesso istante i fascisti dalla piazza cominciarono a sparare contro la sede comunale, mentre nella sala del consiglio si ebbe una sparatoria, nel corso della quale restò ucciso il consigliere di minoranza Giulio Giordani.
Il 27 novembre fu arrestato e rinviato a giudizio per avere «cagionato la morte di Giordani» e per il ferimento di altri due consiglieri di minoranza, oltre che per porto abusivo di rivoltella. Mentre era detenuto, il tribunale di Bologna lo condannò, il 24 ottobre 1922, a 2 anni e 6 mesi di reclusione per violenza contro terzi, reato di cui si era reso responsabile nel febbraio 1920 in occasione di un'agitazione sindacale a Castenaso, dove aveva impedito l'ingresso in fabbrica a un gruppo di crumiri.
Al processo per l'eccidio di palazzo d'Accursio - che si tenne davanti alla corte d'assise di Milano nel 1923 - si comportò con molta dignità e fierezza. Non si lasciò intimidire dalla quotidiana presenza in aula di numerosi fascisti armati - tollerati dal presidente - nè dagli insulti cui era continuamente sottoposto dagli avvocati di parte civile, i quali tentarono di addossargli l’intera responsabilità dell'accaduto. Non potendo condannarlo per la morte di Giordani - perché si trovava sul balcone e risultò che la sua pistola non aveva sparato - la corte gli diede 13 anni, 4 mesi e 10 giorni di reclusione, più 187 lire di multa per «complicità». Il 20 giugno 1923 la Cassazione respinse il suo ricorso giudicandolo inammissibile.
Espiò parte della pena nel penitenziario dell'isola di Capraia (LI) dalla quale venne scarcerato il 30 gennaio 1931, ma non liberato. Infatti fu assegnato al confino per 5 anni. Andò a Lipari (ME) dove il 29 gennaio 1932 venne arrestato per contravvenzione agli obblighi del confino. Assolto il 29 maggio 1932, fu trasferito a Ponza (PA) il 30 gennaio 1933 e contemporaneamente incluso nell'elenco dei possibili attentatori. Trasferito il 22 dicembre 1933 alle Tremiti (FG), venne infine liberato il 30 marzo 1934. Dopo 14 anni tra carcere e confino, fu classificato di «3ª categoria», perché considerato «pericoloso in linea politica».
Essendogli stato impedito di tornare a Bologna, si trasferì a Milano dove morì il 23 maggio 1943. [O]