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Animali al fronte. Protagonisti oscuri della Grande Guerra

1915 | 1918

Schede

"….Figuriamoci poi se c'è chi pensa che ci siete anche voi bestie, che guardate uomini e cose con codesti occhi silenziosi, e chi sa come li vedete, e che ne pensate….."
Luigi Pirandello

L'uomo ha sempre utilizzato, sfruttato e talvolta adorato gli animali, fin dai tempi remoti. E fin dalla antichità li ha utilizzati in guerra. Durante la prima guerra mondiale cavalli, muli, asini, cani, colombi viaggiatori, poveri animali come la maggioranza dei soldati al fronte, furono mandati a soffrire la fame e la sete e a morire per la gloria di una patria che non prestò loro la minima attenzione. Si stima che i cavalli impiegati sui vari fronti di guerra furono quasi dieci milioni, adibiti ai traini dei cannoni, dei carri per le colonne di salmerie; in battaglia, questo animale conobbe la sua ultima primavera con Napoleone Bonaparte, che lo impiegò in cariche travolgenti, dopodiché il perfezionamento delle armi avviò la cavalleria al declino, cancellandola definitivamente nel conflitto 1914-1918, davanti ai grovigli di filo spinato, con le sventagliate da 500 colpi al minuto delle mitragliatrici. Neanche il mulo poté sottrarsi all'impiego in guerra, prezioso com'era per il trasporto dei bagagli in alternativa ai carri. A partire dalla metà del settecento e fino ai giorni nostri, tutte le armate disposero di muli inquadrati in reparti di truppe speciali; le loro caratteristiche fisiche lo resero indispensabile nella grande guerra sul fronte montano, nel rapporto tre di loro per un cannone: uno per la canna, uno per l'affusto ed uno per le munizioni. Ciascun animale era in grado di portare un peso di 150 chili, sul dorso era fissato anche il recipiente dell'acqua; in questo modo si poterono accorciare i tempi di marcia delle truppe che arrivarono a coprire anche un centinaio di chilometri in tre o quattro giorni. L'asino, padre del mulo, ha svolto pure lui, assai dignitosamente, le mansioni di ausiliario di guerra non meno del cavallo o del figlio suo, come bestia da soma o da tiro. Contrariamente a quella del cavallo, pare che la sottomissione del cane all'uomo sia stata spontanea, avendone fiutato la convenienza. Da questa scoperta dell'animale ebbe origine la sua guardia, montata più al cibo che divideva con l'uomo, che alle sue proprietà, alle quali restava completamente indifferente.

L'uomo, nella antichità, pose particolare attenzione a sviluppare per incrocio razze particolarmente feroci da utilizzare in guerra: Ciro il Grande, fondatore dell'Impero Persiano, aveva nel suo esercito schiere di fortissimi molossi; Assiri e Babilonesi utilizzarono l'alano come cane da battaglia. L'invenzione della polvere da sparo moderò di molto il ricorso al cane in battaglia, senza tuttavia escluderlo del tutto, poi il cane guerriero scomparve, sostituito durante la Grande Guerra dal cane ausiliario. Pur se incapace delle prestazioni estreme del cavallo o del mulo, il cane risultò presto un prezioso alleato, ottimo camminatore e nuotatore, soprattutto più fine di olfatto, versatile e adattabile sui terreni difficili. Sul fronte occidentale i tedeschi utilizzarono i cani di razza dalmata e cani pastore per il servizio di portaordini e la ricerca di feriti e sbandati; nel 1915 erano già in servizio circa 2000 cani, saliti a 20000 nel 1918, dai quali a fine conflitto furono selezionati i cani guida per ciechi di guerra. L'uomo si accorse anche che alcuni animali avevano un finissimo senso di orientamento: tra questi i colombi viaggiatori erano i più dotati. Già i naviganti egiziani usavano imbarcare alla partenza ceste con colombi che liberavano sulla via del ritorno per segnalare a terra l'arrivo delle loro navi. L'impiego dei colombi si sviluppò nel tempo e furono soprattutto le guerre a stimolare la sua diffusione in Europa quale portatore di messaggi in leggerissimi contenitori legati alle zampette. Nel 1914, tutti gli eserciti delle grandi potenze avevano reparti di colombi viaggiatori, con personale specializzato per il loro addestramento: nessuno poteva competere con un colombo in velocità e distanze raggiunte in breve tempo. In zona operazioni di guerra, ogni settore divisionale aveva quattro colombaie mobili, i comandi di armata da due a quattro. L'occultamento o l'uccisione di un colombo viaggiatore da parte di un civile erano puniti alla stregua di un attentato contro un soldato in divisa: nel novembre 1918 il generale Boroeviç diffidava gli abitanti del Veneto orientale invaso a nascondere colombi lasciati dagli italiani in ritirata: chi non li consegnava ai soldati ungheresi veniva processato per alto tradimento. uomini, non è sbagliato dire che la guerra la vinse chi aveva più animali da tiro, da soma, da macello. Sulle urgenze alimentari delle popolazioni civili prevaleva, ovunque, il bisogno dei militari al fronte. Per ovviare a ciò vennero in soccorso nuovamente gli animali: il vettovagliamento delle truppe mediante scatolette di carne fu praticato largamente da tutti gli eserciti.

Gli stabilimenti militari italiani confezionarono 173 milioni di scatolette di carne suina e bovina, altri 62 milioni ne confezionò l'industria privata e nel 1917 ci si rivolse anche all'estero. Sull'Altipiano d'Asiago le scatolette non mancavano agli Inglesi, che anzi si lamentavano di dovere mangiare sempre lo stufato di bue; non era cosi' per gli Austriaci che avevano di fronte, ai quali si ponevano scelte drammatiche nell'impiego degli animali ausiliari, che erano contemporaneamente indispensabili al fronte, in agricoltura e nella alimentazione. I 22000 cavalli da tiro del solo esercito Austro Ungherese nel marzo 1918 erano ridotti a meno di 2000, gli asini ed i muli si erano dimezzati dagli iniziali 15000; ancora peggio andò per il bestiame, quasi tutto requisito e mangiato. Il 20 giugno 1918, nel diario della 14° divisione slovacco ungherese, dislocata sul Piave, troviamo scritto: " alle 12,45 è giunta la notizia che il reggimento 75°, in seguito a forti perdite ed alla totale mancanza di cibo, non è assolutamente in grado attaccare…". La regolarità dei rifornimenti dipendeva dalle condizioni logistiche delle retrovie e dal numero di animali utilizzato per il trasporto del rancio fino agli uomini in prima linea; chi mangiava attaccava o resisteva; senza cibo il soldato, che era sottoposto ad una usura giornaliera straordinaria, non andava da nessuna parte. Gli animali dei reparti ausiliari, eroi silenziosi, contribuirono alle sorti vittoriose della Grande Guerra.

Paolo Antolini

Bibliografia: Eugenio Bucciol, Animali al fronte, Venezia, Nuova Dimensione Ediciclo editore, 2003.