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Giovanni Aldini

10 Aprile 1762 - 17 Gennaio 1834

Scheda

Giovanni Aldini nacque a Bologna nel 1762, nipote di uno zio illustre: Luigi Galvani. Studiò filosofia e fisica, dimostrando ben presto acuto ingegno. Fece carriera all’interno dell’Università di Bologna come studioso e ricercatore sperimentale di Fisica. Ottenne incarichi sempre più prestigiosi, riconoscimenti di vario genere e riuscì ad accumulare un vero patrimonio economico. Studiò le lingue, conosceva almeno inglese, francese e tedesco; lingue in cui scrisse molte delle sue dissertazioni. Fu un divulgatore. Sia si trattasse delle materie a lui più familiari, sia si trattasse di argomenti a lui più lontani, appena veniva a conoscenza di nuove scoperte in campo scientifico si adoperava per divulgarle, per farle conoscere. Girò l’Europa in lungo e in largo. Fece svariate invenzioni, e ottenne diversi brevetti. Si specializzò in dispositivi antincendio, in applicazioni elettriche per illuminazione e soprattutto in campo medico. Fu uomo celebre, anche se la celebrità gli venne forse più da una stranezza che dalle sue indubbie capacità.

Come detto oltre che scienziato fu artista. Organizzava veri e propri spettacoli in cui inscenava le sue scoperte. E lo faceva in maniera assai teatrale. I giornali del 1802 e del 1803 erano colmi delle descrizioni delle sue performance. Nei primissimi anni del secolo, l’elettricità era l’argomento su cui la comunità scientifica del momento si concentrava maggiormente. Il perno era incentrato sulla diatriba Volta-Galvani. Essendone nipote Aldini era un galvaniano convinto; probabilmente il sostenitore più accreditato. È dall’esperienza di Galvani che Aldini mosse le sue sperimentazioni e ottenne la fama. Tra il 1802 e il 1803 Giovanni Aldini era a Londra dove eseguiva esperimenti spettacolari, forse anche raccapriccianti. Studiava gli effetti della corrente elettrica su cadaveri animali e umani. Collegava elettrodi a pile con alti voltaggi a teste di cane mozzate, ottenendo la contrazione dei muscoli facciali e l’apertura e chiusura della mandibola con produzione di un vero e proprio schiocco. Applicando gli stessi elettrodi a teste umane mozzate, otteneva la contrazione dei muscoli facciali orribilmente contorti e addirittura l’apertura degli occhi. Collegando i medesimi elettrodi ai corpi decapitati otteneva il movimento degli arti e il sobbalzare dei corpi interi. In più casi i presenti alle dimostrazioni dichiaravano ai giornalisti che si! avevano visto risorgere le povere cavie.

Gli effetti sul pubblico erano di impatto fortissimo. Aldini allestiva le sue dimostrazioni-spettacolo nel retro dei tribunali davanti a cui venivano eseguite le sentenze capitali: appena avvenute le impiccagioni prelevava i corpi e iniziava con gli esperimenti. Proprio dagli esperimenti di Aldini nacque l’ispirazione di Mary Shelley per la scrittura del suo celebre romanzo d’esordio: Frankenstein; ovvero il moderno Prometeo. Nel romanzo di Mary Shelley la cosa prende vita in seguito all’elettrificazione. Aldini adoperò molta parte della sua vita sugli studi delle applicazioni mediche dell’elettricità. Fu tra i precursori dell’elettroshock, credeva nelle potenzialità dell’elettricità, è anche possibile che nel suo recondito avesse idee assimilabili a quelle del romanzo di Mary Shelley, ma da rigoroso scienziato quale era, fin da subito si era reso conto che l’elettricità aveva poteri elevati sugli arti, anche ad un’ora dalla morte del soggetto, ma aveva anche osservato che nulla potè esser fatto con il cuore!

A Milano Aldini ebbe occasione di conoscere Luigi Valeriani e di lavorare assieme a lui. Curiosamente questi due nomi, oggi inseparabilmente legati, non corrispondono ad un vero sodalizio storico. Sicuramente si stimarono e si frequentarono anche negli anni successivi. Furono colleghi, docenti all’Università di Bologna nello stesso periodo, ma non diedero vita a veri e propri progetti comuni. La loro unione indissolubile avvenne a posteriori. L’idea fu di Aldini. Alla sua morte nel 1834, anch’egli fece testamento destinando parte dei suoi grandi averi alla fondazione della Scuola di Scienze Naturali a Bologna, destinata all’applicazione della fisica e della chimica alle Arti e ai Mestieri, includendo nelle sue volontà la proposta esplicita di legare tale lascito a quello similare del suo predecessore: …vantaggio che risulterà molto maggiore, se verrà combinato colle generose disposizioni già date a questo stesso aspetto dall’illustre mio collega Prof. Valeriani. Come per il fratello Antonio, in suo onore il Comune commissionò un ritratto in marmo che fu scolpito da Giuseppe Pacchioni e collocato nel Pantheon della Certosa di Bologna.

Dai due testamenti dei professori in poi si possono trovare diversi parallelismi, sino alle fondazioni dei giorni nostri. Per esempio il primo lasciò nel testamento somme per la ristrutturazione di alcune arcate di portico della Certosa, il secondo le lasciò per il completamento di parte del portico che dalla Certosa porta alla Basilica di San Luca.

Samuele Graziani

In collaborazione con Associazione 8cento, estratto dalla rivista Jourdelò n. 13, Bologna, novembre 2009