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Carlo Acquaderni

30 Ottobre 1895 - 4 settembre 1916

Scheda

Acquaderni Carlo, (Medaglia d'argento al valor militare), di Alessandro, sottotenente nel 24mo reggimento Artiglieria da campagna, nato a Praduro e Sasso nel 1895, dimorante a Bologna, morto per ferite nell'ospedale da campo 063 il 4 settembre 1916, sepolto nel cimitero di Schio. Possidente. Celibe. Ferito a Pozzacchio,  tumulato nel Sacrario militare della 1a Armata sul Pasubio a Pian delle Fugazze (P.A.) Nel settembre 1916 l'ospedaletto da campo n. 063 si trovava nei pressi di Schio (VI). Nel 1928 i genitori donarono 500 lire alla Casa di Riposo "Elena di Savoia" pro Madri e Vedove di Caduti in guerra affinché venisse istituito un letto alla sua memoria. Carlo Acquaderni riposa nella tomba di famiglia collocata nella Certosa di Bologna, braccio est della Galleria degli Angeli.

Così viene ricordato nella rivista 'Il Comune di Bologna' del settembre 1926: "3 settembre 1926: dieci anni fa nell’ospedale militare di Schio, moriva dissanguato da ferite ricevute combattendo, il sottotenente dei bombardieri Carlo Acquaderni. Non aveva ancora compiuto il ventunesimo anno di età e gloriosa fu la sua fine. La morte inesorabile troncava sì una fiorente giovinezza ricca di speranze sulle quali l’Arte aveva impresso il suo divin sorriso, ma aggiungeva al serto della Patria un eroe in più. Nel decennale ritorno di questa data, mentre il fervore di rinascita che anima ogni energia della nostra Italia trae la sua più pura origine dal ricordo della guerra e della vittoria e dalla coscienza dell’immensa copia di sacrificio e di gloria che ad esse si riconnette, è cosa buona ed opportuna che la nobile figura di Carlo Acquaderni riviva nella memoria dei suoi concittadini. Nacque egli il 3 ottobre 1895 al Sasso, nella villa di famiglia di “Rio Verde”, dal Conte Dott. Alessandro e dalla Contessa Laura Zavagli. Fin da bambino manifestò pronta intelligenza e specialissime attitudini pel disegno e per la pittura. Il sentimento dell’arte animava la sua fantasia e si affermava in lui prepotente. Compiuti gli studi elementari e medi, ottenne dai genitori di poter frequentare l’Accademia di Belle Arti in Bologna alla cui scuola di figura si iscrisse nell’autunno del 1913. L’ideale ardentemente sognato gli sorrideva appieno: la via non facile, alla quale s’era preparato con tanta serietà di propositi e con sì forte volere, gli si apriva finalmente e ad essa tutto si dedicò colle sue giovanili energie, coi suoi puri entusiasmi, coll’arcano dono di una naturale ispirazione che cercava e studiava il mezzo di rivelarsi compiutamente. I suoi maestri e i suoi condiscepoli dell’Accademia lo ricordano di certo ancora; taluno di essi conserva certi suoi scritti dai quali appare come l’Arte fosse in cima ad ogni suo pensiero e come il suo studio assorbisse tutte le sue cure. Aveva elegante e snella la persona, dolce e pur serio il viso, lo sguardo spesso assorto come di chi persegua ancora un’idea e continui un mentale lavoro. Le frenesie e le scapigliature artistiche, purtroppo così frequenti nei giovani di quei tempi, l’avevano lasciato immune da ogni posa. Anziché un allievo dell’Accademia pareva uno studente dell’Università, un giovane dedito a studi severi. Ma agli intimi, parlando della sua arte, si rivelava: l’occhio s’accendeva della luce interiore, la parola vibrava di sincera emozione. Amava con ardore il Creato e in ciò la Fede potentemente da Lui sentita e apertamente professata trovava la sua bella armonia. Prediligeva gli spettacoli grandiosi della natura ed in genere il forte, il selvaggio. Gli piacevano moltissimo gli animali e particolarmente i cavalli di cui ammirava l’eleganza di forme ed i atteggiamenti. I suoi disegni, i suoi studi – che numerosi rimangono – attestano tali sue preferenze e nel tempo stesso danno la misura della sua abilità. Osservando le sue opere, subito ci colpisce il vigore del segno, la sapiente distribuzione delle ombre e delle luci, il senso plastico del movimento. Ci si rende facilmente conto dell’arte vera e semplice, della forza con la quale il pittore domina forme e toni. Sono opere che portano l’impronta di un grande ingegno, si direbbero gli studi, gli schizzi di un artista già maturo. Ma nemmeno due anni durò la sua vita d’Accademia. Venne la guerra e Carlo Acquaderni fu tra i primi chiamati. Fu soldato nei Lancieri di Mantova, poscia passò al 9° Artiglieria da Campagna a Pavia. Anelante di prendere parte più attiva ai suoi doveri verso la Patria, chiese ed ottenne di essere inviato al fronte di combattimento. Fu ben presto Ufficiale di Artiglieria ed aggregato ad una Batteria di bombarde sul Pasubio. Pur fra i disagi ed il continuo pericolo, il suo sogno d’arte non lo abbandonava. Quando il rischio mortale gli appare più immediato, così scrisse: “mi contenterei di ritornare con le gambe per cavalcare, con un occhio ed un braccio per dipingere”! Ma non sa sopportare la vita di batteria, monotona e immobile: tutto in lui è desiderio di azione e di movimento. Il senso estetico che regna nella sua mente si fonde coll’entusiasmo del suo cuore e vuol scuotersi dalla stasi forzata. Egli vuole agire ancor più direttamente contro il nemico della Patria. Nella notte del 21 agosto 1916 volontariamente uscì dalle nostre linee con un ufficiale mitragliere per compiere una pericolosa ricognizione nelle vicinanze del munitissimo forte austriaco del Pozzacchio. Inoltratisi per lungo tratto oltre gli ultimi nostri reticolati, furono improvvisamente accerchiati da una pattuglia nemica in agguato, che per far più sicuramente prigionieri i due ufficiali li colpi entrambi con fucilate alle gambe. La scarica attirò per altro l’attenzione delle nostre fanterie che lanciarono razzi e iniziarono il fuoco. Gli austriaci vollero rientrare nel forte trascinando i due ufficiali, ma non essendo questi in grado di seguirli per le ferite riportate, li disarmarono e li lasciarono a terra piantonati da un soldato. Carlo Acquaderni non si perdette d’animo parlando in tedesco al suo guardiano riuscì ad indurlo a darsi lui stesso prigioniero. L’austriaco, caricatosi sulle spalle l’ufficiale mitragliere, fu guidato verso le nostre linee dall’Acquaderni che, pur perdendo moltissimo sangue, si trascinava con grande stento appoggiandosi al fucile del suo prigioniero a guisa di bastone. Raccolto quasi sfinito, Carlo Acquaderni apparve tosto in gravi condizioni per la vasta emorragia patita. Fu ricoverato in un ospedaletto da campo e poscia nell’ospedale di Schio ove i sanitari tutto tentarono per salvarlo. Ma ogni tentativo fu inutile. La morte volle per sé il giovane eroe che il 3 settembre 1916, abbandonandosi nelle braccia della sua amatissima mamma, rendeva la sua bella e nobile anima a Dio. Generale fu il rimpianto per la sua scomparsa e grandi gli onori che giustamente gli furono resi. Alla sua memoria fu conferita la medaglia al valor militare, il suo nome fu citato in vari ordini del giorno alle truppe come esempio di abnegazione e di eroismo. Duri così la sua memoria e se il suo sogno d’arte fu spezzato nella sanguinosa notte di guerra, tra la incombente minaccia del fortilizio nemico e lo strenuo assedio della nostra trincea, la gloria degli eroi circondi il suo nome e lo additi a quanti hanno vero animo d’italiani".

Nel libretto a lui dedicato dai familiari nel 1917 così viene descritto: "Carlo Acquaderni nacque al Sasso, presso Bologna, nella villa di Rio verde, il 3 ottobre 1895. Il nome di Carlo gli fu posto in memoria dello zio Zavagli, ufficiale di marina, tragicamente caduto a Warscheik. Manifestò presto speciali attitudini al disegno e cominciò con illustrare i quaderni di scuola. (...) Così dal ginnasio passò alla Scuola media di Commercio, mentre la vocazione lo chiamava all'arte. Fu dalla Badia di Bertinoro che nel settembre del 1912 scriveva ai genitori: 'In questo luogo magnifico di raccoglimento, ripensando ai miei studi, mi convinco sempre più che non potrò dedicarmi al commercio rinunziando all'arte'. (...) Che cosa ha detto e che cosa è pronto a ripetere il prof. Barberi? Ha detto che i miei schizzi dimostrano ottime e non comuni qualità e che se studierò come si deve, riuscirò certamente bene. Perchè avere riluttanza ad andare dal Barberi? Perchè non parlate con lui seriamente di me? E poi se non avete fiducia in lui, perchè non consultate qualcun altro?' (...) Andava poco di poi in Svizzera a completare il corso commerciale e perfezionarsi nel tedesco, e da Lucerna, nel novembre di quello stesso anno, dopo aver descritto l'aspetto di quella città e della campagna e la vita di collegio, finiva ripetendo speranza che gli fosse concesso di fare gli studi desiderati per diventare un buon artista, perchè questo era tutto quello che sperava ed ambiva. (...) I suoi desideri furono finalmente appagati. Ottenuta la licenza di quel Collegio, sufficientemente provata la fermezza dei suoi propositi, nell'autunno del 1913 entrò nel Corso Superiore dell'Accademia di Belle Arti in Bologna e vi scelse figura. (...) Nel giugno 1915 conseguiva il diploma e lasciava l'Accademia per entrare nei Lancieri di Mantova. Così senza transizioni egli passava a pochi giorni di distanza dagli studi alle armi, dal mondo dei sogni alla cruenta realtà della guerra. (...) Con lo scherzo, l'ironia si studia nascondere la verità; e ispirare fiducia, sicurezza, tranquillità; mentre qualche barlume crepuscolare del suo sogno fa capolino nelle lettere indirizzate a un amico, il pittore Giovanni Romagnoli, al quale non nasconde lo stato vero dell'animo suo. (...) - 13 giugno 1916. Carissimo Romagnoli, ricevo ora la tua carissima lettera. Comprendo le tue angoscie e vorrei potere con la mia parola rianimarti, ridarti la fiducia e la coscienza di una forza; ma anch'io, purtroppo, ho provato e provo angoscie e vuoti simili ai tuoi. Io non ho fatto niente o quasi in arte: il tutto si è ridotto più che altro ad intenzioni, ad una elaborazione mentale e cioè, con più semplicità, a chiacchiere e non a fatti, che mi davano l'angoscia dell'impotenza. (...) Caro Romagnoli, certamente ti annoio; ma non avevo intenzione d'interessarti, solo egoisticamente di dire quello che sento. Se ti facesse comodo potresti usufruire del mio piccolo studio all'ultimo piano di casa nostra. C'è anche qualche libro e qualche rivista. Se hai fotografie di tuoi lavori mandamele. - 9 agosto 1916 Caro Romagnoli, come stai? Come va l'arte bolognese? La mia testa come una palla balza fra il desiderio di far dell'arte, d'esser pittore e la convinzione che la pittura e l'arte non siano che mezzucci per dare delle soddisfazioni momentanee e terribilmente meschine. Faccio punto o meglio... puntini a questo argomento e desiderando vederti presto e rivedere un pò di mondo abitato, ti saluto. (...) Nel luglio 1915 dalla Cavalleria Carlo era passato in Artiglieria da Campagna a Pavia. Dopo tre mesi divenne Caporale, e il giorno della nomina telegrafò alla famiglia avvertendo che l'indomani sarebbe partito. Al padre, che era accorso a salutarlo, nell'atto di separarsi alla stazione consegnò con esitanza un foglietto con preghiera di non mostrarlo alla mamma. Era un ordine del giorno che diceva così: 9° Reggimento d'Artiglieria da Campagna – Ordine speciale del giorno 10 ottobre 1915 – Si segnalano a titolo di lode i seguenti militari che domandarono di essere inviati sul fronte di combattimento: 5° Batteria – caporale Acquaderni Carlo (seguono altri quattordici nomi). Il Colonello Carrascosa – L'Aiutante Magg. L. Agabito'. Il 1° dicembre 1915 fu ammesso al corso aspiranti Ufficiali e Teor. Alla metà di febbraio il Corso fu bruscamente interrotto perchè occorreva un pronto rinforzo sul Sagrado; così in luogo delle stellette e della sospirata licenza i giovani furono balzati in prima linea a sostenere quelle posizioni minacciate. Le fatiche che vi sostenne nel trasportare sacchi di terra sulle spalle per far piazzole e trincee pei pezzi d'artiglieria, il freddo e i disagi delle notti di guardia sotto la pioggia che faceva del pastrano una spugna, furono taciuti per non allarmare la famiglia e non ve n'è traccia nelle lettere che scrisse. (...) Il 7 marzo 1916, dopo otto mesi di assenza, venne a casa senza preavviso, con la divisa logora, pallido, stanco con tutte le traccie delle sofferenze patite. Quella licenza passò triste e veloce, triste perchè il nonno era tanto malato che si temeva di perderlo. Si arrivò all'ultima sera. A una cert'ora sparì nè si immaginò il motivo: era stato a dare un addio al nonno alla Casa di salute. Questi riposava: gli gittò un bacio dal vano della porta e lo lasciò. (...) Il 23 marzo ripartì da casa per non più ritornarvi."

Testi tratti da V. L., Necrologio in "Il Comune di Bologna. Rassegna mensile di cronaca amministrativa e di statistica" (settembre 1926), pp. 683-684. Carlo Acquaderni, Tipografia L. Parma, Bologna, 1917. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.